Bersani litiga già con Di Pietro

Basterebbe una semplice frase: il Pd non vuole più avere niente a che fare con l’Idv di Antonio Di Pietro. Così, secca, senza aggiungere spiegazioni. Pier Luigi Bersani dovrebbe presentarsi davanti a telecamere e taccuini e chiudere definitivamente con uno stillicidio che dura da mesi. Perché non è certo una novità che il Partito Democratico e l’Italia dei Valori si dividano sul modo migliore per opporsi a Silvio Berlusconi. Colpa o merito, scegliete voi, di Walter Veltroni che alle politiche 2008 sostenne con forza l'alleanza con Tonino. Un patto che l'Idv tradì subito dopo le elezioni rifiutandosi di dare vita a gruppi parlamentari unitari alla Camera e al Senato. Dopotutto se il Pd si leccava le ferite per un 33% ben al di sotto delle aspettative, Di Pietro passava dal 3% scarso del 2006 ad un 4.4% che, tradotto in poltrone, significava 29 deputati (dopo le ultime defezioni sono scesi a 24 ndr) e 13 senatori. Perché annacquarli nel grande calderone democratico? Meglio restare distinti e, soprattutto, con le mani libere. Una strategia che ad oggi sembra aver pagato. Non fosse altro perché, alle ultime europee, l'Idv ha fatto segnare l'8%. Così, il «fedele» alleato, si è presto trasformato in una spina nel fianco per il Pd. Il risultato è una competizione elettorale a tutto campo. Da un lato Tonino che veste i panni del tribuno che infiamma le folle. L'unico oppositore al «cattivo» Silvio Berlusconi (i cui provvedimenti, all'occorrenza, vota senza batter ciglio) che punta soprattutto ai voti degli orfani della sinistra cosiddetta radicale. Dall'altra i Democratici sempre in bilico tra dialogo e lotta, consapevoli che per vincere le elezioni e spodestare Silvio bisogna pescare tra gli elettori più moderati che mal sopportano le urla. L'obiettivo principale è non farsi fagocitare dall'avversario. L'ultima puntata di questa eterna lotta va in scena in questi giorni. Due i temi sul tavolo: il no-B day del 5 dicembre, la richiesta di dimissioni del sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino nel mirino dopo la richiesta di arresto inviata alla Camera dalla procura di Napoli. Anche ieri Bersani e Di Pietro non si sono fatti mancare la loro dose quotidiana di botta e risposta. Ma il segretario del Pd non ha pronunciato la fatidica frase. In fondo lunedì la direzione democratica era stata chiara: nessuna adesione alla manifestazione di piazza del Popolo, ma assoluta libertà di partecipare. Un colpo al cerchio e uno alla botte. Tonino non ha gradito così, a margine del corteo con i lavoratori dell'ex Eutelia-Agile (c'era anche il segretario Pd ma i due hanno preferito parlarsi attraverso i media), ha lanciato il suo affondo: «Toglietevi il cappello da primi della classe e partecipate alla manifestazione indetta dal popolo della rete, insieme con noi, poveri, umili oppositori di questo governo Berlusconi». E ha aggiunto: «Chi non sarà con noi sarà alla stessa stregua del governo Berlusconi». Un attacco che ha scatenato l'immediata reazione di Bersani: «Noi facciamo le nostre manifestazioni e lezioni di antiberlusconismo non le prendiamo da nessuno. Il più antiberlusconiano è quello che riesce a mandare a casa il premier, non quello che grida di più. Dopodiché, se le parole d'ordine sono accettabili non c'è divieto per i militanti del Pd di partecipare anche a manifestazioni indette da altri». Comunque, per far stare tutti tranquilli, il segretario fa sapere che il Pd farà una propria iniziativa sulla giustizia a dicembre. Ma qualche ora più tardi il battibecco si ripete uguale a se stesso. Stavolta il via lo dà Bersani: i Democratici non firmeranno la mozione di sfiducia a Cosentino presentata dall'Idv («non ne abbiamo bisogno ce ne è una nostra al Senato»). Replica Di Pietro: «Smettiamola di fare i bambini. Dobbiamo occuparci delle dimissioni di Cosentino e non di chi firma per primo la mozione. Se poi il problema è un altro, vale a dire che ai dirigenti del Pd fa schifo sottoscrivere documenti presentati dall'Idv, lo dicano subito e chiaramente». Già, lo dicano.