Una vittima dell'odio politico

Per quello che può ricordare un normale lettore di giornali, l’ex generale della Guardia di Finanza, poi eletto parlamentare nel centro destra, Roberto Speciale, è un signore che disponeva liberamente di beni e servizi di Stato, al punto da usarne gli aerei per scarrozzare comitive di amici, con mogli al seguito, e poi rifornirle di spigole fresche, in modo da allietarne la mensa. Per quel che ricorda un cittadino normale, il citato generale fu “inquisito”, entrò, quindi, in quella generica categoria di persone in attesa di condanna. Non si ricorda mai bene per cosa, ma si parte dal principio che, tanto, il più pulito ha la rogna. Ecco, adesso il caso di Speciale assume un significato piuttosto diverso, inquadrandosi bene non solo nel clima che viviamo, ma rappresentando una buona occasione per ragionare. Speciale, difatti, è innocente. Sono caduti gli addebiti relativi al danno erariale, che lo avevano condotto innanzi alla Corte dei Conti, e sono caduti anche i sospetti penali. Non ha la rogna, insomma. Però la sua testa fu giocata nell’incrociarsi dell’inquisizione, accompagnata dal relativo clamore mediatico, con l’avversità politica del governo Prodi. Di lui disse cose terribili, in Aula, l’allora ministro dell’Economia, quel Tommaso Padoa Schioppa che, a dire del luogocomunismo un tanto al chilo, dovrebbe rappresentare l’eccellenza della grande professionalità prestata alla politica, quindi dovrebbe essere un estraneo alle beghe di palazzo.   Estraneo, invece, non solo non fu, ma si schierò dalla parte del suo vice-ministro, quel Vincenzo Visco che a Speciale chiese di trasferire quattro ufficiali della Guardia di Finanza che prestavano servizio di polizia giudiziaria e che, guarda un po' i casi della vita, erano in servizio nel mentre si svolgeva l’indagine su Unipol, con la (mai sufficientemente deprecata) pubblicazione delle intercettazioni telefoniche in cui alcuni leaders della sinistra festeggiavano l’avvenuta conquista di una banca (la Bnl, che Unipol stava scalando, in concerto con gli indimenticabili “furbetti del quartierino”).Se il governo di allora avesse deprecato la fuga di notizie (che non fuggono mai, sono sempre distribuite ad arte) ed avesse chiesto la massima chiarezza, avrebbe fatto bene e noi avremmo solidarizzato. Perché il senso delle istituzioni non deve mai piegarsi alla tifoseria politica. Ma fece una cosa diversa, chiese, anzi, pretese il trasferimento di alcuni uomini. Speciale si oppose e per lui si aprirono le porte dell'inferno inquisitorio. Padoa Schioppa lo destituì. Ma non si limitò a questo, fece altre due cose: offrì a Speciale un posto da giudice alla Corte dei Conti e tolse a Visco la delega sulla Guardia di Finanza. Due cose sbagliatissime e gravissime. La prima perché, all'evidenza, se destituisci un generale, ed hai motivo per farlo, non è che lo mandi a giudicare gli altri. A meno di non considerare la Corte dei Conti una discarica per indesiderabili (secondo me andrebbe chiusa, ma è discorso diverso). La seconda perché non si difende l'operato di un vice-ministro per poi togliergli la delega, giacché delle due l'una: o ha ragione, e lo si sostiene anche per il tempo successivo, o ha torto, ed allora si destituisce lui, non limitandosi a mettere una pezza di gran lunga più colorata del buco. Ora, appunto, si apprende che Speciale è innocente. Ma la faccenda qui ricordata non lo è affatto. Anzi, è una delle esplosioni patologiche del rapporto malato fra giustizia e politica. Sarebbe bene partire da casi come questo, oltre che dalle centinaia riguardanti comuni cittadini, comuni vittime la cui vita è massacrata dalla malagiustizia, per ricordare a tutti che il problema non riguarda una persona sola, sempre la stessa, ma l'intero Paese, da troppo tempo in fondo alle classifiche della civiltà giuridica.