Costanzo: "Quei sospetti raccontati sul mio palco"

«Non cambia mai nulla. nzi, come nel Gattopardo, tutto cambia perché tutto resti uguale a prima». Costanzo, a cosa allude? «Domani va in onda la prima delle ultime 18 puntate del mio "Show". Al Parioli ho il Procuratore Antimafia Piero Grasso. Commenteremo il video di quando venne ospite il giudice Francesco Di Maggio. Era il 1990». Di Maggio aveva lavorato all'Alto Commissariato alla Mafia con Sica, finché non era stato chiuso quell'ufficio. «E venne in trasmissione a fare un intervento di grande durezza». Disse che non si sentiva «suddito», che «la mafia non è solo a Palermo, ma anche a Milano e a Roma». Puntò il dito contro Csm e politici. «Sottolineò che occorreva affrontare la questione dei rapporti tra i colletti bianchi e le cosche. Ed eravamo in piena Prima Repubblica. Ecco perché dico, vent'anni dopo, che non cambia mai nulla. Quelle sue dichiarazioni sono di un'attualità perfino imbarazzante. Se poi penso a Messina, all'abusivismo, agli incendi dolosi, mi chiedo quanto ancora prosperi serenamente la criminalità organizzata». Nocque, a Di Maggio, quell'apparizione in tv? «Lo mandarono a Vienna, consulente giuridico per l'Onu. La solita tecnica del "promoveatur ut amoveatur". Ti dicono: sei troppo bravo, ma certi pensieri è meglio che li tenga per te. Tornò poi in Italia, a occuparsi di carceri. Morì poco dopo, di cirrosi».  Lei rifarebbe una trasmissione sulla mafia? «Avevo giurato a mia moglie di no. Ora dico sì, ognuno deve fare il mestiere suo. Non mi pentii neppure la sera dell'attentato di via Fauro. Eravamo tutti vivi: io, l'autista, Maria, il cane. Chi ha piazzato la bomba è all'ergastolo».  Che rapporto aveva con Falcone e Borsellino? «Paolo lo vidi solo una volta. Giovanni era un vero servitore dello Stato. Non mi stancavo di farmi raccontare della sua tecnica di condurre gli interrogatori in dialetto, per entrare nella guardia dell'interlocutore. Aveva quel sorriso che diceva e negava tutto. Come nel momento in cui, in collegamento con "Samarcanda", io bruciai le magliette con la scritta "mafia", e lui era alle mie spalle. Ogni volta che ci ripenso mi assale la malinconia. Me l'aveva presentato Martelli. Falcone era salito a Roma per lavorare al ministero al fianco di Livia Pomodoro».  A proposito di Martelli: che pensa della dichiarazione ad "Annozero" su Di Donno e Ciancimino? «Pare enorme. Vorrebbe dire che Borsellino fu eliminato perché seppe della trattativa tra Stato e mafia. E mi ha sorpreso la storia del passaporto di copertura di Di Pietro». La trasmissione di Santoro tendeva ad indicare un referente politico per i boss. Sappiamo chi. «Michele sa fare il suo lavoro. Dopo la puntata sulla D'Addario, gli ho telefonato. "Porca miseria, ho intervistato mille escort, tu una sola e ti sei portato a casa 7 milioni di telespettatori". Tutto il can can attorno ad "Annozero" gli tira la volata: il martirologio mediatico crea sempre la fortuna di chi lo subisce. Si facessero domande, alla Rai». I vertici di Viale Mazzini dovevano muoversi in modo più felpato? «Alcuni di loro non sanno di cosa si parla».  Lei però, una volta chiuso il sipario del Parioli, proprio alla Rai tornerà. «Mi lascio in ottimi rapporti con Mediaset: prima della scadenza del contratto mi hanno permesso di commentare il teatro sulla tv pubblica. Alla Rai, se gli accordi andranno in porto, mi proporrò come autore. E dopo le elezioni regionali, per non debuttare in par condicio, spero di condurre un programma sui modi di fare le interviste. A basso costo e nel mio stile. So cavarmela anche lontano dal Parioli». Esiste la libertà di espressione in Italia? «Direi di sì. Piuttosto, molti giornalisti si autocensurano. Anch'io, che non ho mai avuto bavagli nella mia carriera, qualche volta avrò tirato spontaneamente il freno a mano. Ma da quello che leggo sui giornali e dalla satira che impazza, direi che siamo molto liberi». Cosa si rimprovera, in 25 anni di «Costanzo Show»? «Di aver dato voce a qualche presuntuoso, ma in fondo sono stati pochi. Sono fiero di aver fatto conoscere personaggi che esibivano la propria diversità, perché questo ci ha arricchiti. Forse non esibirei tanti casi di malattie rare: ho dato involontariamente troppe speranze, mentre i rimedi erano scarsi».  Chi vorrebbe intervistare, tra i viventi? «Bin Laden, ammesso sia vivo. Correrei il rischio di fargli propaganda, pur di chiedergli per quanto dovremo pagare l'odio antico tra cristiani e islamici».  In queste puntate di commiato (la domenica e il mercoledì) avrà al suo fianco Signorini. Un passaggio di consegne? «È stata una mia richiesta. Mi aiuterà a contestualizzare quel pezzo di storia della tv che ho confezionato. Ma non è una staffetta: non si può fare il Costanzo Show con altri. A Canale 5 sapranno cosa mandare in onda, in mia assenza».