Scontro tra poteri che covava da tempo

(...)sancitodal Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione per cui Mahmoud Ahmadinejad è il legittimo presidente della Repubblica islamica. Ma non tutti gli iraniani la pensano allo stesso modo. A venti giorni dall'apertura delle urne, gli scontri continuano, i morti ed i feriti non si contano, sarebbero circa duemila gli arrestati, forse di più secondo l'opposizione. L'Iran è una polveriera ed il regime accusa l'Occidente di soffiare sul fuoco. Secondo Amnesty International, i riformisti da giorni vengono torturati: lo scopo è quello di farli confessare in televisione di essere "terroristi". Nel mirino, naturalmente, non ci sono i giovani rivoluzionari, ma i capi della rivolta contro i brogli, la corruzione, il regime repressivo, il tradimento stesso del khomeinismo della prima fase: Mir Hussein Moussavi, plebiscitato dal popolo, ma non riconosciuto dai mullah; Medhi Karroubi, ex-presidente del Parlamento; gli ex capi dello Stato Mohammad Khatami e Alì Akbar Hashemi Rafsanjani (la cui figlia è sparita, forse è nel tetro carcere di Evin). Per ora sono "intoccabili", considerata la loro posizione nelle gerarchie del regime, ma è indubitabile che è con loro che la cricca di Khamenei intende procedere ad un regolamento dei conti finale. L'assassinio della giovane Neda, eroina per caso e già simbolo di una rivoluzione dal finale incertissimo, ha acuito il conflitto tra le due fazioni in lotta. Al punto che ormai qualsiasi possibilità di mediazione è saltata. In Iran si combatte una guerra civile la cui scintilla sono state le contestate elezioni, ma che da tempo covava sotto la cenere. E non è soltanto squisitamente politica, finalizzata alla conquista del potere, ma anche "sociale", tra chi pretende aiuti di Stato per fronteggiare la miseria e chi immagina un'economia moderna di mercato, sia pure legata allo spirito coranico. Riformatori e ortodossi si fronteggiano come possono e con quel ciò di cui dispongono. Non mancano le armi, naturalmente. E la brutalità dei miliziani si spinge fino agli indiscriminati massacri ordinati da Khamenei e Ahmadinejad, ed eseguiti dai nuovi brutali interpreti della linea repressiva: Asedollah Lajevardi, detto il "macellaio" che sovraintende alle torture nel carcere di Evin; Saeed Mortazavi, giudice preposto a condannare i dissidenti; Sadegh Khalkhali, feroce capo delle Corti islamiche, praticamente capo del potere giudiziario. Certamente gli scontri non si arresteranno nei prossimi giorni. Ormai i margini di mediazione sono saltati. Quando Moussavi afferma di essere pronto al martirio, è difficile immaginare che possa tornare indietro. E che sia ispirato da uno degli uomini più ricchi ma anche, a suo modo, "illuminati" del Paese, Rafsanjani, il quale controlla buona parte del clero ostile alla Guida Suprema, è un fatto di non poca importanza. L'altra sponda gliela offre, sul piano ideologico e morale, il "mite" Khatami. Il potere che questi uomini di primo piano del khomeismo "storico" incarnano è abbastanza forte per lanciare la sfida finale a Khamenei, al Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione, ai pasdaran (nelle cui file si stanno aprendo considerevoli falle), ai basiji, ai mullah più intransigenti, all'esercito, alla magistratura? Sì, è vero: possono contare sul popolo. Ma anche Ahmadinejad ha dalla sua una l'appoggio di una parte non marginale degli iraniani che sono quelli più "ideologizzati" e fanatizzati, dunque maggiormente disposti ad andare fino in fondo. La "guerra" di Teheran, insomma, è una guerra per impossessarsi delle leve del comando. Non sono in discussione la costruzione dell'arsenale atomico; il rapporto privilegiato con Pyongyang; l'ostilità verso Israele, fino a pianificarne la distruzione; il progetto di conquistare l'egemonia dell'Asia centrale giocando un ruolo decisivo nella "normalizzazione" dell'Afghanistan. La libertà, i diritti reclamati dai giovani e dalla borghesia, lo sviluppo delle relazioni con l'Occidente c'entrano fino ad un certo punto. Moussavi, forse tatticamente, si mostra più sensibile dell'ottuso Ahmadinejad a tutto questo ed intende farlo pesare nel confronto globale, ma sarebbe meglio andare a vedere le sue carte prima di accreditarlo come "uomo nuovo". Se il "bersaglio", comunque, più che Ahmadinejad è Khamenei, ci aspettiamo che i nemici della Guida Suprema indichino anche il possibile successore. E ce n'è uno solo che può aspirare a tale prestigiosissimo ruolo, quello stesso che aveva indicato Khomeini e che fu poi defenestrato, con un vero e proprio golpe nell'ambito religioso: il Grande Ayatollah Alì Montazeri, il quale, dal suo esilio di Qom, ha fatto sentire la sua voce giorni fa prendendo posizione per Moussavi ed incitando i giovani a non fermarsi. Ecco allora intrecciarsi nel "grande gioco" iraniano un'altra variabile che contribuisce a rendere ancor più incandescente la partita.