La democrazia non è soltanto espressione della volontà politica, ma ne costituisce certamente un aspetto significativo.

Edil motivo principale del deficit di europeismo è nelle modalità della costruzione dell'Europa le cui radici affondavano in un terreno che con il passare dei decenni non è stato dissodato, come ritenevano i padri fondatori. Sulla pelle dell'Europa, infatti, sono cresciute le burocrazie continentali, si sono affastellate le ragioni dell'economia e della finanza, si sono stratificati i bisogni dei mercati con il risultato che la sua fisionomia è venuta fuori alterata, irriconoscibile, estranea allo spirito dei popoli che la costituiscono. L'Europa, nonostante gli sforzi di tanti e perfino a dispetto delle buone intenzioni che hanno animato coloro i quali ne hanno scritto la Costituzione, poi diventata Trattato di Lisbona, non è la nazione che statisti come De Gasperi, Spaak, Schuman, Adenauer e ideologi come Richard Coudenhove-Kalergi (fondatore di Paneuropa) immaginavano: una comunità nella quale le sovranità degli Stati si armonizzassero in un progetto comune sulla base di una comune identità. L'Europa dei burocrati ha vinto sull'Europa dei popoli, insomma; quella tecnocratica ha prevalso su quella delle culture. Resta poco per entusiasmarci per istituzioni sovranazionali che mancano di un effettivo potere decisionale, di un complesso strategico-militare tale da potersi proporre come elemento equilibratore nei conflitti che scuotono il mondo, della capacità di esportare civiltà ed integrare uomini e donne provenienti da mondi diversi e lontani. Per come è stata disegnata, l'Europa non può che suscitare disinteresse. E questo non significa scetticismo, ma presa d'atto che chi l'ha voluta così sono stati politici intrigati dal piccolo cabotaggio degli Stati che rappresentano, piuttosto che aspirare ad un dinamismo politico in grado di portare l'Europa ad esprimersi sullo scenario internazionale come soggetto ambizioso al punto di recitare un ruolo da protagonista nei vari teatri "caldi" che punteggiano il Pianeta. Il Parlamento appena eletto è la somma di frustrazioni di questo genere, un "non luogo" dove siedono gli uni di fronte agli altri coloro che vorrebbero un'Europa ragionevolmente fiera delle proprie radici e quanti la considerano terminale di poteri estranei alle sensibilità di una koiné composita che viene evocata soltanto per legittimare un'integrazione continentale che nei fatti nessuno sente. L'altro giorno a Parigi mi è capitato di ascoltare il discorso accorato del presidente della Repubblica ceca Vaclav Klaus: mi ha impressionato per la schiettezza con cui ha denunciato l'euroburocrazia e per la malinconia con cui ha preso atto che questa Europa non gli piace, a lui, scampato agli orrori del comunismo che non sperava altro se non di vivere in un'Europa con un'anima. Mancavano pochi giorni al voto e non ha avuto il coraggio di dire se il suo Paese ratificherà o meno il Trattato di Lisbona. Penso che senza neppure sapere chi è Klaus, molti europei non sono andati a votare per le stesse ragioni che questo mite presidente ha espresso in un consesso internazionale. Gennaro Malgieri