Schifani: "Lo Stato c'è"

Quando l'altro giorno nella riunione tecnica Guido Bertolaso parlava di rischio disperazione e rabbia degli sfollati conosceva bene il significato delle sue parole. Tra le tante tende degli sfollati qualche segnale di cedimento si comincia a vedere. Il timore principale è quello di essere lasciati soli in questa tragedia, di essere abbandonati. E dalle 60 tendopoli allestite, dai 40 mila rimasti senza tetto l'appello è praticamente unanime: «Non dimenticateci». Così, quando Renato Schifani arriva nella tendopoli in piazza d'Armi, una delle più grandi allestite dalla Protezione civile, si trova davanti questo scenario: tanti gesti d'affetto e gratitudine, mescolati a richieste, osservazioni, a qualche contestazione su quello che ancora non funziona o, appunto, alla paura di essere abbandonati. La seconda carica dello Stato avrebbe voluto pranzare con gli sfollati, fare la fila con loro, ma alla fine ha dovuto rinunciare, pranzando in quella che viene chiamata la segreteria della Protezione civile, al riparo dalle telecamere. Quando il presidente del Senato arriva all'Aquila, il sole è già alto e fa parecchio caldo. A piazza d'Armi, si è allestita una vera e propria piccola città: 33 tende per circa 1.000 sfollati, farmacia, mensa, ambulatorio pediatrico, centro della Croce Rossa. Su questo prato verde ci si prepara per la giornata di Pasqua: ci sono le suore che allestiscono la tenda-cappella, i frati che preparano le preghiere, i volontari che distribuiscono le uova e le colombe arrivate da tutta d'Italia. Davanti al camper della Posta c'è la fila di alcune persone anziane in attesa di avere notizie sulla loro pensione. Schifani arriva accompagnato dalla moglie Franca oltre che dall'arcivescovo del capoluogo abruzzese Giuseppe Molinari. Fa subito un giro tra le tende, tra la gente, tra quelle che lui stesso definisce non «le vittime d'Abruzzo ma dell'Italia intera». Passando davanti ad un ambulatorio da campo, il presidente del Senato si ferma per parlare con i medici e gli infermieri. Ed è qui che la seconda carica dello Stato riceve una garbata ma ferma contestazione da parte di una dottoressa volontaria. «Sono cinque giorni che stiamo qui e abbiamo visto tanta gente venire a stringerci le mani. Mi scusi se glielo dico, ma di queste strette di mano non sappiamo che farcene. Qui si lavora in condizioni disperate, senza riscaldamento, i bagni che non funzionano e con i pazienti che vanno dai bambini di 18 giorni agli anziani di 90 anni. Servono fatti concreti, aiuti materiali». Schifani non se l'aspettava. Replica alla dottoressa ribadendo «il grande sforzo» che si sta facendo: «Un'emergenza come questa non capita in tutti i momenti». La dottoressa Fabiocchi lo interrompe: «Però, le assicuro veramente che si lavora in condizioni disastrose, e tutte queste visite di voi politici non ci stanno portando niente». Le condizioni sono difficili e drammatiche ma Schifani ripete che «lo Stato c'è» e rimarrà accanto a queste persone. Dopo aver visitato il centro della città, il presidente del Senato torna nella tendopoli provato da quello che ha visto, da una città «devastata, sbriciolata». Per ricostruire serviranno molti soldi. Proprio per questo chiede un impegno maggiore ai rappresentanti del popolo. «I mille euro a testa su cui si erano impegnati i senatori certamente non bastano, quindi chiederò uno sforzo maggiore perché bisogna fare di più». Il presidente Schifani sta quasi per salire in macchina e ripartire quando si avvicina una donna Jolanda Andreassi, con in mano del pane e un vassoio di verdura appena preso alla mensa. «Non lasciateci soli fate qualcosa: tra poco vi dimenticherete di noi». Il presidente del Senato la abbraccia commosso: «Non lo deve neanche pensare».