La metamorfosi di Franceschini da democratico e estremista

Dario Franceschini è quel che si può definire un democristiano atipico. Al punto da accettare, nel 1995, di candidarsi sindaco della sua Ferrara per una lista composta da Cristiano sociali (movimento che raccoglieva cristiani progressisti e socialisti cristiani e che, nel 1998, contribuì alla nascita dei Ds ndr), Laburisti e Verdi. Una decisione in linea con quella che, nel 1994, lo aveva portato ad abbandonare il Ppi reo di essersi presentato alle elezioni da solo rifiutando quella che, per Franceschini, era quasi una scelta obbligata: l'alleanza con il centrosinistra. Dario avrebbe ritrovato i suoi ex compagni democristiani proprio nel 1995. La scissione dai «destrorsi» guidati da Rocco Buttiglione e l'ingresso nell'Ulivo lo avrebbero convinto ad impegnarsi in prima linea in quel progetto ricoprendo la carica di vicesegretario del partito dal 1997 al 1999. Ed è proprio in quegli anni che Franceschini risponde con decisione alle lusinghe di Silvio Berlusconi: «I Popolari stanno benissimo dove sono. Ci dispiace di dover dare una delusione al Cavaliere. Le ragioni che ci hanno spinto a costruire l'Ulivo sono sempre più valide. Peraltro l'epidemia che sta distruggendo i partiti di ispirazione cristiana del centrodestra ci convince a girare ancora di più alla larga di lì». Tanto era convinto il buon Dario che, a forza di girare alla larga dal centrodestra, è finito sulla poltrona più lontana: quella dell'antagonista. Leader del principale partito di opposizione a Berlusconi. Un posto perfetto per tornare alla sua grande passione. La prima mossa del neosegretario del Pd, è stata infatti quella di rispolverare i gioielli di famiglia. Davanti all'Assemblea che lo stava per eleggere, Franceschini ha snocciolato tutto il suo repertorio: una posizione «più laica» sul testamento biologico (cosa che ha mandato su tutte le furie i teodem della Margherita), un riavvicinamento alla Cgil e al Pse, un tuffo nell'antiberlusconismo militante con attacco diretto al «pericolo democratico» rappresentato da un Cavaliere onnipotente, perfino il padre partigiano. Cose che Walter Veltroni, nonostante il passato glorioso nelle file del grande Pci, non si era mai sognato di dire. Parole che hanno esaltato la sinistra del Pd che, scettica sulla possibilità di sostenere un ex Dc, si è subito schierata convintamente con il nuovo corso. «Dario il rosso» ha incassato gli applausi, ha messo la barra a sinistra e ha continuato la sua avventura. Primo atto della gestione franceschiniana: il giuramento sulla Carta Costituzionale davanti al Castello Estense di Ferrara tristemente noto per la rappresaglia fascista del 15 novembre 1943 che portò alla morte di 11 innocenti. Lì, accompagnato dal padre Giorgio, il neosegretario ha colto la palla al balzo per attaccare nuovamente il premier: «Il Presidente del Consiglio ha in mente un Paese in cui il potere viene sempre più tacitamente concentrato nelle mani di una sola persona. Questo è contro la Costituzione a cui lui ha giurato fedeltà». Quindi sono arrivati: la battaglia sempre più dura contro le ricette anticrisi del governo con la proposta di dare un assegno mensile a tutti coloro che perderanno il lavoro, l'appello a non votare Berlusconi alle europee («quello che avverrebbe il giorno dopo la sua vittoria è una cosa che può preoccupare tutti»), la manovra di avvicinamento ai sindacati con particolare attenzione alla Cgil, l'idea di poter riaprire la porta ad un'alleanza con le forze della sinistra radicale che oggi non sono in Parlamento. Mosse che, ieri, hanno spinto il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto a lanciare un appello a Enrico Letta e Francesco Rutelli: «Fermate la sua deriva estremista. Lo spostamento a sinistra di Franceschini, che deriva dal tentativo sia di un recupero nei confronti della sinistra radicale sia di far dimenticare la passata appartenenza alla Dc, è destinato a provocare solo danni in molteplici direzioni». In attesa di sapere se Letta e Rutelli raccoglieranno l'appello di Cicchitto, Franceschini va avanti senza tentennamenti. Ieri mattina ha partecipato all'assemblea di «A sinistra», l'associazione fondata da Livia Turco, Vincenzo Vita, Sergio Gentili, Famiano Crucianelli e Paolo Nerozzi. Ex Ds che non vogliono consegnare ad altri lo spazio a sinistra del Pd. Lì Franceschini ha lanciato un'altra proposta: «Una moratoria, un blocco per un anno, cioè per tutta la crisi, del licenziamento dei precari pubblici». Non solo, il segretario ha anche accolto un nuovo tesserato nel Pd: il leader della Cgil-Funzione Pubblica Carlo Podda. Ulteriore testimonianza che la «svolta» a sinistra funziona. Niente male per uno che, da vicesegretario del Pd, apprezzava i toni usati da Berlusconi nel discorso per la fiducia alla Camera e assicurava che, mai più, il Pd sarebbe ricaduto nell'errore di costruire alleanze anti-Cavaliere. Evidentemente Dario ha ben presente le elezioni del 2001 e la scena di Aprile in cui, uno sconsolato Nanni Moretti, guardando Massimo D'Alema in televisione (Franceschini fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel secondo governo D'Alema ndr) urlava: «Dì qualcosa di sinistra».