Caffarella, si punta ai pastori in Romania

Si cercherà tra i pastori. È per questo che si sono spostate in Romania le indagini per lo stupro alla Caffarella di San Valentino. Due investigatori della Squadra mobile romana e un dirigente sono atterrati a Bucarest. Hanno portato con loro due cose: i dati relativi al Dna ricavato dalle tracce biologiche ritrovate nel parco e la lista di sospetti da interrogare, persone che in modo o nell'altro possono essere ricollegate ai due romeni in carcere, Alexandru Loyos Isztoyca e Karol Racz, ritenuti da procura e polizia coinvolti nella violenza. Negli uffici della Questura il primo, il «biondino», ha detto di aver fatto il pastore. Ed è proprio tra di loro che gli investigatori cercheranno. Il detenuto infatti apparterrebbe a una famiglia di pastori zingari: si tratta di diverse decine di persone tra cui potrebbe esserci almeno una delle due persone che ha lasciato le sue tracce nel parco del quartiere Appio Latino. Il cromosoma Y, infatti, viene tramandato di padre in figlio ed è uguale per gli appartenenti maschi di uno stesso ceppo familiare. La verifica del Dna potrebbe essere decisiva. In caso contrario, la missione dei poliziotti romani è anche quella di accertare chi è rientrato nel paese nelle ore successive alla violenza e di quali appoggi eventualmente ha goduto. Se il «biondino» ha confessato (e poi ritrattato) di essere responsabile dello stupro vuole coprire qualcuno. Qualcuno che lui conosce bene (tra i pastori o i pregiudicati) e gli ha raccontato i particolari di quella sera, come si sono svolti i fatti, particolari cioè che poteva riferire soltanto la persona che ha preso parte alla violenza della Caffarella e che poi Alexandru ha ripetuto alla polizia in un interrogatorio videoregistrato. Il suo presunto complice, Karol Racz, che il «biondino» ha tirato in ballo e poi scagionato nella stessa ritrattazione, nei giorni scorsi ha detto che Alexandru sta coprendo due romeni che lui conosce bene. In un primo momento la quattordicenne vittima dello stupro indicò come uno dei violentatori il soggetto di una delle foto segnaletiche: Ciprian Cioschi, con quattro dita mancanti a una mano. La Squadra mobile accertò e nella conferenza stampa del 18 il capo Vittorio Rizzi disse che l'indicazione era risultata sbagliata perché il giorno della violenza il romeno era in Romania. In questa fase soprattutto il contributo degli investigatori romeni è prezioso. Dopo le accuse circolate sulle maniere brusche che le divise di Bucarest avrebbero usato coi due indagati per ottenere una loro confessione, sul quotdiano Evenimentul Zilei fonti della polizia romena hanno sottolineato che le autorità italiane hanno annunciato la notizia in maniera molto rapida e «con un trionfalismo ingiustificato». Secondo la stessa fonte «non ci sono state pressioni. Durante l'interrogatorio il primo sospettato ha detto nel dettaglio cosa era accaduto e ha aggiunto dettagli scioccanti che potrebbe conoscere solo chi ha partecipato al reato - ha proseguito la fonte della polizia - e ha fornito prove agli investigatori italiani: la testimonianza non può essere messa in discussione. Il problema è che gli italiani sono stati troppo rapidi. Esistono, d'altra parte, alcuni problemi legati al modo in cui sono state raccolte le prove sul posto».