Trentasette anni di falsi miti

Quelli che gli hanno spalancato le più diffuse o prestigiose tribune mediatiche per fargli impartire lezioni di vita e di stile a noi comuni e incolti mortali. Quelli che non si sono limitati a esprimere dubbi, sempre legittimi, sulla congruità degli elementi d'accusa portati contro di lui nei processi sino a condanna definitiva, ma hanno addirittura sostenuto la impossibilità quasi genetica che un intellettuale così fine, così arguto e così mite fosse sospettabile di avere avuto ruoli di mandante o di qualsiasi altro tipo nel delitto Calabresi. Adesso persino "La Repubblica", un giornale insospettabile perché si onora di averlo da tempo fra i suoi collaboratori, senza aver mai avuto paura di mettere a disagio il figlio di Calabresi, Mario,che vi scrive in modo più frequente e organico; persino "La Repubblica", dicevo, di fronte alla confessione fatta da Sofri è costretta a parlare di una sua "responsabilità morale" per quel barbaro assassinio. Lo ha fatto ieri con la firma di Simonetta Fiori. Sarebbe stato d'altronde ben difficile sottrarsi a quest'obbligo di fronte alle parole inequivocabili dell'ex leader di "Lotta continua". Egli infatti ha motivato la sua "corresponsabilità" spiegando di "aver detto o scritto, o aver lasciato che si dicesse e si scrivesse: Calabresi sarai suicidato". Che significa, come spiega il dizionario della lingua italiana di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, "eliminare qualcuno provocando o simulando un suicidio". È ciò di cui proprio Calabresi fu ripetutamente accusato dalla "Lotta continua" di Sofri di aver fatto o di aver lasciato fare nella Questura di Milano la notte del 15 dicembre 1969 ai danni dell'anarchico Pino Pinelli, fermato dopo la strage nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura, in piazza Fontana. Ed è proprio "La notte che Pinelli" il titolo dell'ultimo libro confessione di Sofri. Che non perde tuttavia l'occasione per riproporre con convinzione una certa legittimità dei peggiori sospetti coltivati dall'ultrasinistra contro Calabresi, per quanto scagionato del tutto in sede giudiziaria dalla morte di Pinelli nel cortile della questura milanese dopo un volo dalla stanza in cui era stato interrogato dopo il fermo. Sofri è ancora convinto che Calabresi rappresentasse lo Stato della "illegalità". L'esecuzione di Calabresi non fu però il suicidio simulato previsto, annunciato o auspicato quasi come un contrappasso della morte di Pinelli. No, quella di Calabresi fu un'esecuzione vera e propria, con tanto di commando di terroristi che lo aspettarono sotto casa, indifeso, la mattina del 17 maggio 1972 per vendicare con un delitto vero il delitto presunto di Pinelli. Ed ancora oggi Sofri, pur accettando finalmente la "corresponsabilità" di quel tragico e odioso epilogo di una campagna d'odio cominciata due anni e mezzo prima, nega il carattere terroristico di quell'esecuzione. Sì, ancora oggi, perché scrive testualmente: «Di nessun atto terroristico degli anni '70 mi sento corresponsabile. Dell'omicidio Calabresi sì». Non so a questo punto di quanti altri anni avrà ancora bisogno Sofri, da detenuto a casa o in carcere, o da libero se il capo dello Stato dovesse concedergli la grazia - che in tanti hanno auspicato per lui, compreso il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in una lettera scritta anni fa a "Il Foglio" di Giuliano Ferrara - per ammettere che anche il delitto Calabresi appartiene a tutti gli effetti alla terribile storia del terrorismo italiano. Come giustamente sostiene e spiega il figlio di Calabresi, Mario, nel libro struggente - "Spingendo la notte più in là" - che accomuna il padre a tutti gli altri assassinati dai terroristi nella guerra dichiarata contro lo Stato prepotente della "illegalità" avvertito anche da Sofri.