Maurizio Gallo m.galloiltempo.it Un boato. Il primo ...

Ad attenderlo nell'enorme polmone verde che dà ossigeno alla metropoli più black d'America e si affaccia sul lago Michigan ci sono decine di migliaia di persone. Altre centinaia di migliaia riempiono la Michigan Avenue e le strade circostanti. La folla è in delirio. Molti scandiscono al passato lo slogan elettorale dei Democratici: «Yes, we did!», gridano, «Ce l'abbiamo fatta!». Lui ha la voce calda, ferma e decisa di sempre. E nel suo discorso da vincitore, che durerà 17 minuti, lancia segnali di continuità e insieme di cambiamento, di cautela e speranza, di audacia e trasparenza. Cita Lincoln, il presidente che abolì la schiavitù, ricorda indirettamente Kennedy, chiedendo agli americani di dare il loro contributo, incita al patriottismo e, nello stesso tempo, alla responsabilità di ogni individuo per migliorare il mondo. Obama rende omaggio agli sconfitti, il veterano del Vietnam McCain e la rampante governatrice dell'Alaska Palin. E promette di essere il presidente di tutti, anche di quelli che non lo hanno votato. Anche di quelli che paventavano con orrore la possibilità che il quarantaquattresimo inquilino della Casa Bianca fosse un «negro». «Hello Chicago», esordisce Barack, che subito richiama lo slogan onirico di Martin Luther King: «Se qualcuno là fuori ancora dubita che l'America sia un luogo in cui ogni cosa è possibile, che ancora si chiede se i sogni dei nostri Padri Fondatori siano ancora vivi ai giorni nostri, che si interroga sulla reale potenza della nostra democrazia, stanotte ha trovato le sue risposte». Quel sogno resta il nostro sogno, sottolinea Obama, che poi ricorda gli americani in coda per votare, «molti per la prima volta nella loro vita, perché hanno creduto che questa volta la loro voce potesse fare la differenza». Se qualcuno aveva ancora dubbi, a spazzarli via sono stati «giovani e vecchi, ricchi e poveri, democratici e repubblicani, bianchi, neri, ispanici, asiatici, nativi americani, omosessuali, eterosessuali, disabili e non disabili». Tutti loro hanno detto: «Non siamo mai stati solo un insieme di stati blu e stati rossi ma siamo e saremo sempre gli Stati Uniti d'America». Insomma, diversi ma uniti nel nome della patria. Gli applausi lo costringono a fermarsi un attimo, mentre la First Lady si commuove alle sue parole e lo stesso accade agli agenti della Chicago Police, in gran parte afroamericani, che sono lì per proteggerlo. «È stata dura», ammette rammentando l'estenuante e interminabile campagna elettorale che lo ha portato in tutto il Paese, ma «il cambiamento è arrivato». Obama rende gli onori ai vinti, riferendo (tra i fischi) della telefonata «straordinaria e gentile» del suo avversario, un uomo «che ha combattuto duramente per la nazione che ama». Ringrazia il suo «compagno di viaggio», il vicepresidente Joe Biden, la moglie Michelle, le figlie che si sono «meritate un nuovo cagnolino che verrà con noi alla Casa Bianca», il suo instancabile team («il migliore messo insieme nella storia della politica»), la nonna recentemente scomparsa e la sua famiglia. Ma soprattutto ringrazia i suoi elettori, tra i quali ricorda la più canuta, Ann Nixon Cooper, 106 anni, nata in un tempo in cui una persona come lei non poteva votare «perché era una donna e per il colore della sua pelle». A loro «appartiene questa vittoria» ottenuta con una campagna «che non si è tenuta nei salotti di Washington» ma nei sobborghi industriali e operai ed è stata «costruita da lavoratori e lavoratrici che hanno scavato nei loro risparmi per trovare 5, 10, 20 dollari da devolvere alla causa». Una vittoria «cresciuta forte fra i giovani» descritti a torto «come una generazione apatica», grazie agli anziani, «che hanno affrontato il freddo pungente e il caldo», e grazie ai milioni di volontari e agli americani i quali «oltre 200 anni dopo la nostra fondazione» hanno dimostrato che «un governo che nasce e cresce dal popolo non è un'illusione irrealizzabile». La gioia è grande. Ma l'entusiasmo deve già fare spazio alla riflessione, all'impegno necessario per affrontare le sfide del presente e del futuro: «Due guerre, un pianeta in crisi, la peggior crisi finanziaria del secolo». E, anche «se siamo qui a festeggiare, sappiamo che ci sono americani coraggiosi che si stanno svegliando, adesso, nel deserto dell'Iraq, nelle montagne dell'Afghanistan e rischiano la loro vita per noi». È indispensabile risolvere i problemi delle famiglie in difficoltà economica e, per questo, «bisogna reperire nuova energia, creare nuovi posti di lavoro, costruire nuove scuole». Una strada «lunga e ripida» che tuttavia non spegne la speranza. «Non sono mai stato tanto speranzoso come oggi», confida Barack, che assicura: «Vi prometto che noi come popolo, ce la faremo». Sì, usa il plurale, il presidente nero del XXI secolo, che giura di essere «onesto» e di ascoltare tutti «specialmente quando non saremo d'accordo» e avverte che chiederà ai cittadini di unirsi a lui «nell'opera di ricostruzione di questa nazione quartiere per quartiere, mattone per mattone». Infatti, c'è molto da fare ancora e la vittoria elettorale di per sé non «rappresenta il cambiamento di cui abbiamo bisogno». È solo l'inizio, è soltanto un debutto, come dicevano gli studenti nel maggio francese. Se Kennedy incantava gli americani affermando che non dovevano chiedere all'America che cosa poteva fare per loro ma porsi la domanda speculare, Obama gli fa il verso e spiega che il cambiamento «non può avvenire senza un nuovo spirito di servizio, un nuovo spirito di sacrificio fatto di patriottismo, di responsabilità in cui ognuno di noi risolve un piccolo tassello del problema e lavora duro. E non si preoccupa solo di se stesso ma anche degli altri». Dopo l'invito alla solidarietà, le bacchettate alla finanza selvaggia e l'appello all'unità per «ricucire le divisioni che hanno rallentato il nostro progresso». Obama cita Lincoln. Lui, «a una nazione molto più divisa della nostra», disse: La passione che ci anima non potrà spezzare l'affetto che ci unisce. E lancia nell'aria frizzante e umida di Chicago la sua ultima promessa: «A tutti gli americani che non mi hanno supportato dico che potrò non aver avuto il vostro voto, ma ascolterò le vostre voci. Ho bisogno del vostro aiuto e sarò anche il vostro presidente». Una promessa seguita da un monito: chi vuole «distruggere il mondo» sarà sconfitto, chi cerca «la pace e la sicurezza» sarà aiutato. Perché «la fiamma dell'America brucia ancora». Perché la «forza di questa nazione» non è nella potenza militare ma «nel potere dei nostri ideali». Perché «una nuova alba nella leadership americana sta sorgendo». Yes, we can. Possiamo farcela. E ce la faremo. Dio benedica l'America.