Giancarla Rondinelli g.rondinelli@iltempo.it «Le facoltà ...

Ma sicuramente c'è anche il fattore «ansia inconscia» a giocare un ruolo non secondario. Ne è convinto Carlo Angelici, preside della facoltà di Giurisprudenza de La Sapienza. Uno degli atenei maggiormente coinvolti dalle proteste e dalle occupazioni, anche se alla fine le facoltà sono sempre le stesse, quelle storiche, Lettere, Scienze politiche, Fisica e Chimica, «guarda caso quelle appunto dove si ha una formazione meno mirata alle professioni». E quindi è per questo che Giurisprudenza non scende in piazza? «La mia facoltà storicamente non lo ha mai fatto. Insieme ad Economia, Ingegneria e Medicina. Tutte facoltà con caratterizzazioni professionali ben definite. Ecco perché i ragazzi sono meno preoccupati». Quindi non è una questione di appartenenza politica? «C'è anche quella. Ma ci sono anche le tradizioni, non meno importanti. A Roma, per esempio, Lettere, Fisica e Scienze politiche hanno sempre utilizzato queste forme di protesta. Pensi che alla Facoltà di Lettere c'è ancora un'aula, occupata nel '68, ancora con un presidio costante». In cosa i tagli previsti dal dl Gelmini vi penalizzano? «Le rispondo con una domanda: perché le risorse risparmiate con i tagli non vengono utilizzate per lo sviluppo dell'università? Mi spiego: se il governo avesse stabilito una misura dello stesso tipo, con un tetto massimo di assunzioni, ma investendo i soldi risparmiati nella ricerca e nelle strutture, beh allora il discorso sarebbe stato nettamente diverso. Ed invece...». Ed invece? «Il Tesoro fa cassa prendendo i soldi dove pensa siano meno utili. Cosa che ha sempre fatto, intendiamoci, in ogni governo, con ogni schieramento. Tutti i governi ritengono l'università una cosa poco importante. Questo è il disagio principale che esiste tra i professori. Non è tanto un problema di tagli ma di mancanza di un progetto». Una delle critiche che si muove oggi al sistema universitario è quella di aver moltiplicato i corsi di laureee e quindi i costi. «È vero. Però anche su questo bisogna mettersi d'accordo. Si faccia una valutazione su dove ciò è avvenuto e perché, dove la moltiplicazione aveva un senso e dove no. E si agisca di conseguenza. A Giurisprudenza esiste un solo corso di laurea, sarà forse anche per questo che non si protesta: perché si riesce a lavorare tranquillamente. Io dico che certamente le misure previste dal governo sono pesanti, però anche il mondo universitario deve cercare di darsi più da fare». Come? «Per esempio facendo un progetto di ridimensionamento dei corsi di laurea. Io l'ho proposto in Senato accademico. Vedremo». Il presidente Berlusconi dice che la stampa, soprattutto quella legata alla sinistra, fomenta in qualche modo i giovani a queste forme di protesta. È d'accordo? «Sì e anche tanto. E non è un problema legato alla stampa di sinistra. Questi sono fenomeni che producono immediati effetti imitativi. Basta guardare a cosa accade su alcuni fatti di cronaca: più se ne parla e più si ripetono». Cosa consiglierebbe ai suoi colleghi di Lettere e Scienze politiche? «Non saprei. Difficile dare un consiglio. Quello che so è che sono un preside molto invidiato: questi problemi io non li ho. Sarà forse perché chi studia a Giurisprudenza comincia a manovrare le leggi...». Da presidente della Conferenza dei presidi di Giurisprudenza cosa propone al governo? «Di sedersi intorno ad un tavolo, confrontarsi e costruire un progetto. Quello dei tagli è un problema che va risolto».