È emblematica sotto due aspetti la vicenda di Calogero ...

Il primo aspetto, prettamente giudiziario, è stato già analizzato per i nostri lettori da Lino Jannuzzi con la competenza e la brillantezza che gli sono abituali. L'altro aspetto, che vorrei qui approfondire, è quello mediatico, relativo ai rapporti collusivi fra parti dell'informazione e della magistratura. Il processo a Mannino non cominciò negli uffici giudiziari di Palermo quattordici anni fa con il solito avviso di garanzia, come molti hanno scritto. E neppure due anni prima, nel 1992, come scriveva ieri l'Unità ricordando la "batteria di pentiti" che indicò in Mannino, dopo le stragi che erano costate la vita ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, "uno dei referenti principali che avevano il compito di curare in alto loco gli interessi di boss e picciotti". No. Il processo a Mannino cominciò nell'autunno del 1991 proprio sull'Unità, allora diretta - ahimè - dal pur mite e prudente Renzo Foa, che era succeduto a Massimo D'Alema e sarebbe stato poi sostituito da Walter Veltroni. Fu il giornale ufficiale del Pds-ex Pci ad enfatizzare le accuse di mafia rivolte a Mannino dal pentito Rosario Spatola in una deposizione raccolta da Borsellino, all'epoca procuratore della Repubblica a Marsala. Il pezzo "forte" di quelle rivelazioni era costituito dalla partecipazione di Mannino come testimone di nozze "dei Caruana, una delle più potenti cosche di narco-trafficanti", come ricordava ancora ieri sul Corriere della Sera Nando Dalla Chiesa sostenendo che "fare i padrini o i testimoni è un modo per suggellare all'esterno il rapporto con Cosa Nostra", e dichiarandosi perciò "amareggiato" per l'assoluzione appena ottenuta dall'attuale parlamentare dell'Udc. Ma Mannino non era stato testimone di nozze "dei Caruana". Era stato, più semplicemente, testimone della sposa di uno dei Caruana, peraltro allora privo di qualsiasi pendenza giudiziaria. Egli aveva accettato quel ruolo per amicizia verso il padre della donna, segretario di una sezione siciliana della Dc. Borsellino giustamente avviò subito la pratica verso l'archiviazione. L'Unità invece decise di cavalcare la vicenda. Ricordo bene quel mezzogiorno di lunedì 14 ottobre 1991. Partecipavo come direttore del Giorno, insieme con colleghi di altre testate, ad una trasmissione condotta su un canale Fininvest da Gianfranco Funari. Che si divertiva a fare "un po' il giornalaio e un po' il giornalista" per stimolare la discussione su un articolo da lui scelto di volta in volta. Quel giorno egli premiò appunto L'Unità, leggendo con aria abbastanza compiaciuta un pezzo di prima pagina dedicato al Mannino mafioso raccontato da Spatola. Mi permisi di protestare contro quella specie di processo in diretta, peraltro in assenza del presunto imputato. Funari non volle sentire ragioni e proseguì sulla sua strada, spalleggiato da uno degli ospiti, direttore di un mensile di moda edito allora dalla Rai. Programmato per durare l'intera settimana, sino a sabato, l'appuntamento riprese il giorno dopo con lo stesso argomento riproposto dal conduttore. Tornai a protestare per le stesse ragioni del giorno prima incorrendo questa volta negli insulti del collega che aveva già sposato il ruolo di accusa contro Mannino. Egli rispose alle mie obbiezioni promuovendomi, diciamo così, da "difensore" di Mannino a "picciotto". Scoppiò un mezzo finimondo, dal quale Funari, a trasmissione finita, cercò di tirarsi fuori promettendomi per il giorno dopo un'apertura in qualche modo riparatrice. Che invece non avvenne, per cui al terzo appuntamento, sempre in diretta, gli rinfacciai di non avere rispettato gli impegni e, attaccando i suoi metodi da gogna, lasciai lo studio per protesta. Finii per questo, e vi rimasi per un bel po', su Blob di Rai 3, come esemplare di un picciotto in servizio effettivo. Funari, con la sua solita disinvoltura istrionica, tentò di indossare i panni della vittima perché la vicenda aveva provocato, fra l'altro, un duro commento del giornale ufficiale della Dc Il Popolo, allora diretto da Sandro Fontana. Che aveva chiesto un intervento della Fininvest contro il conduttore per il ruolo improprio che si era assunto d'accusatore e giudice di un fantomatico processo a Mannino. E L'Unità che fece? Trasse dai fatti l'incoraggiamento a proseguire. La campagna contro Mannino continuò sotto la direzione di Veltroni, anche dopo l'archiviazione giudiziaria voluta da Borsellino, e fu sposata da altri giornali schierati a sinistra, che trovarono pace solo quando al pentito Spatola se ne aggiunsero altri e la Procura di Palermo incriminò Mannino. I cui processi giudiziari di mafia, che si sperano finiti con la sentenza d'appello dell'altro ieri, se la Procura non ricorrerà alla Cassazione, seguirono quindi quelli mediatici, in un ordine purtroppo frequente, che non fa onore né alla professione dei giornalisti né alla funzione dei pubblici ministeri.