Filippo Caleri f.caleri@iltempo.it L'ottimismo è difficile ...

Insomma tassi in calo, petrolio e materie prime più economiche non aiuteranno il Paese a ripartire? «Diciamo che sono condizioni importanti per un rilancio ma di cui godrebbero anche altri paesi come la Cina. Dunque nostri concorrenti su alcune produzioni. Saremmo di nuovo alla pari». Non c'è speranza? «Nonostante la caduta del potere d'acquisto di molte nazioni, negli Stati Uniti è diminuito in un solo anno del 13%, alcuni beni di nostra produzione sono soggetti a una più forte richiesta. Paradossalmente la crisi mondiale che crea disoccupazione rende i poveri molti poveri e i ricchi ancora più ricchi. La sola Cina ha prodotto lo scorso anno i suoi 200 mila nuovi milionari. L'evoluzione del mercato internazionale è verso l'ingiustizia sociale. E questo favorisce alcune nostre importanti produzioni» Un esempio? «Le auto. In Germania la Opel ferma la produzione per due settimane. In Giappone la Nissan fa lo stesso. In Italia crescono Ferrari e Maserati. E anche la 500 che è un prodotto di nicchia ma economico. In altre parole la nostra struttura produttiva è adatta alla crescente ingiustizia sociale perché produce beni estremi e non nella media. Ci sono altri esempi». Quali? «All'ultimo salone nautico di Genova non solo erano esposti grandi yacht supertecnologici, simbolo dell'eleganza e della tecnica made in Italy, ma c'era anche una lunga fila di compratori che si battevano a suon di milioni di dollari per comprarli». Torniamo al ragionamento iniziale. Con i tassi più bassi ci sarà un sollievo per milioni di famiglie e più reddito da spendere? «È un dato interessante ma non rilevante. Anche perché molti risparmiatori hanno perso molto negli ultimi mesi. I redditi si sono assottigliati perché la paura ha impedito impieghi remunerativi. Alla fine insomma un pareggio». Nessun vantaggio dunque? «Sono fattori che ci consentono di essere meno pessimisti. Non avremo una caduta verticale come la Spagna. il cui boom è basato tutto sull'immobiliare ha costruito, nel 2006, 800 mila unità immobiliari cioè più di quanto hanno fatto Francia, Germania e Inghilterra. Molti di questo appartamenti sono oggi invendibili». Restano come dice il Fmi due anni di recessione. «L'Italia può galleggiare meglio di altri. Le stime del Fmi sono come sempre, nei nostri confronti, troppo pessimistiche».