L'insulto all'Inno d'Italia non è reato

La procura di Venezia ha aperto il fascicolo, come atto dovuto, salvo chiuderlo e inviarlo al tribunale dei ministri con la notazione che le espressioni usate da Bossi non costituiscono reato ministeriale: il tutto nell'arco di neppure 20 giorni. Dalla tribuna, Bossi aveva fatto un discorso d'apertura all'opposizione in materia di riforme e di federalismo. «Siamo pronti ad accogliere le loro proposte anche sul federalismo. Da parte nostra non ci sarà una chiusura al Pd e a Veltroni», erano le parole di miele del Senatur. Che subito dopo però aveva rispolverato l'abito da battaglia, quello dell'Alberto da Giussano tanto caro al popolo del Carroccio. Da qui il gestaccio, tipico degli automobilisti e visto in tanti film di successo: il dito medio sollevato, quando l'Inno di Mameli chiede a tutt'Italia di essere «schiava di Roma». «Mai più schiavi di Roma. Toh!», fu l'espressione di Bossi che accompagnava il dito in aria. Quarantott'ore di polemiche e reazioni furibonde. Tanto da occupare circa due ore e mezzo di discussione in Aula alla Camera, con la Lega a sostenere che il gesto fosse contro Roma e non contro l'Italia, e l'opposizione a proseguire nelle proteste fino, col Pdl sempre più in imbarazzo, fino al discorso risolutivo del presidente di Montecitorio Gianfranco Fini. Athos De Luca, ex deputato dei Verdi e oggi consigliere comunale a Roma, preannunciò anche una denuncia per vilipendio all'Inno nazionale. Salvo scoprire, come talvolta accade nella confusione della polemica, che l'Inno di Mameli non è mai diventato l'inno nazionale della Repubblica italiana ma è soltanto l'inno ufficioso. Al punto che in Parlamento giacciono da alcuni mesi diversi progetti di legge (4 soltanto al Senato) per costituzionalizzare l'Inno.