Nicola Imberti n.imberti@iltempo.it «Io sto con il Capo ...

Onorevole, non pensa di essere un po' troppo ottimista? «No, non credo. Avevamo iniziato bene. Il programma di Berlusconi, lo dico con molta sincerità, aveva raccolto consensi anche tra di noi perché affrontava i problemi veri degli italiani». E poi, cosa è successo? «Poi il premier ha cominciato ad occuparsi dei suoi conflitti personali. Anche se capisco la sua rabbia». Cioè? Il Cavaliere fa bene a prendersela con la magistratura? «Berlusconi affronta, probabilmente nel modo peggiore, problemi che ci sono. È indubbio che alcune delle indagini che hanno riguardato il presidente del Consiglio sono state guidate da una volontà politica». Quindi, qual'è la soluzione? «Mettiamo da parte la norma cosiddetta "blocca-processi", che tocca 100mila processi per influenzarne uno, e approviamo una legge che introduca nel nostro ordinamento l'immunità per le alte cariche dello Stato». E se il premier risponde di no che fate? Anche voi, come Veltroni, smettete di dialogare? «Io penso che non possiamo far prevalere il risentimento. Il dialogo non deve terminare. Certo, Berlusconi è uscito dalle righe però, ripeto, la "pittura" non è completa se non si ammette che c'è un uso politico della giustizia e che questo è inaccettabile. Insomma, se il premier ha torto, la sinistra non ha ragione». Quindi il segretario del Pd sbaglia quando dice che, d'ora in avanti, sarà battaglia su tutto? «La lotta tra berlusconiani e antiberlusconiani non serve a risolvere i problemi dell'Italia. Lasciamo perdere un conflitto che interessa sì e no 5.000 persone e torniamo ad occuparci dei redditi che scendono e dell'economia che va male». Secondo lei perché Veltroni ha deciso di partire all'attacco? «La provocazione di Berlusconi è sicuramente molto forte, ma forte è anche la paura di Di Pietro. Anche se penso che noi non possiamo farci condizionare dalle sparate del leader dell'Italia dei Valori». Voi no ma il Pd, forse, ha paura di perdere consensi. «È la differenza tra la democrazia e la demagogia». Cioè? «In democrazia si dice la verità e, sulla base di questo, si prendono delle decisioni. Magari si perdono consensi nell'immediato, ma alla lunga, se le scelte sono giuste, si viene premiati. La demagogia, invece, si basa sulla logica opposta: bisogna "attizzare" i propri tifosi dicendo ciò che vogliono sentirsi dire. Ma nel tempo l'entusiasmo sfiorisce». Insomma, o Veltroni torna al dialogo o rischia di scomparire? «Il dialogo è l'atteggiamento fondamentale della politica. Pur nelle distinzioni tra maggioranza e opposizione bisogna cercare, insieme, di realizzare quelle misure che possono migliorare la situazione del Paese». Però, alla fine, a decidere è chi governa? «Infatti il ruolo dell'opposizione è quello di valutare le proposte dell'esecutivo tentando di migliorarle e, se non ce la fa, può votare contro. Non c'è niente di male: votiamo ciò che riteniamo giusto e non votiamo ciò che riteniamo sbagliato». Intanto, però, gli inviti del presidente Napolitano restano inascoltati. «Serve un soggetto terzo capace di far tornare entrambi i contendenti alla ragione. Questo è sicuramente il Capo dello Stato, ma anche, in Parlamento, un forte centro capace di "arbitrare" il confronto politico evitando eccessi che non fanno il bene degli italiani».