Rifondazione ora "licenzia". A casa i dipendenti

Sugli stipiti delle porte i nomi degli onorevoli di questa passata XV legislatura. Passeggiando per i corridoi si contano più i commessi che i dipendenti di Montecitorio. Nell'ala del Palazzo che si affaccia su via Poli ci sono anche gli uffici, chiusi per «fine attività», dell'Udeur. Un piano più in alto, al quarto, nella stanza 450 si continua a lavorare. Ma per poco. È uno degli uffici di Rifondazione comunista. Quel partito che unendo le sue forze a quelle del Pdci, dei Verdi e della Sinistra democratica, non ha ottenuto un seggio in Parlamento. Qui sono gli ultimi giorni di lavoro. Gli scatoloni a terra sono già pronti per spedire altrove tonnellate di materiale. Le pratiche sono imballate. I fascicoli sono ammucchiati in un angolo. C'è un quadro che incornicia la prima pagina di Liberazione del 10 e 11 dicembre, ricordando tutti i caduti sul lavoro, ma è girato faccia al muro. Anche la bandiera della Pace penzola giù da un chiodo e sembra sul punto di cedere. «Entro giovedì (domani, ndr) ce ne dobbiamo andare». Il giovanotto dietro la sua scrivania è uno dei tanti che sta per perdere il suo posto di lavoro. «Tutto il gruppo dirigente sta prendendo la strada per andare a casa, e con loro noi. Vogliamo facce nuove, dicono. E noi?». Noi quanti? «Tanti. Almeno cinquanta persone della segreteria della Camera e del Senato e venti funzionari politici fanno le valigie. Poi abbiamo cento persone a Rifondazione e cinquanta al giornale Liberazione: dicono che dovranno fare tagli al personale». E da ieri 180 addetti della Sinistra Arcobaleno rischiano il posto se non interverrà il centrodestra. Il ragazzo mostra un altro quadro, stavolta c'è una vignetta di Vauro. «Siamo delusi e abbiamo l'ansia di essere disoccupati. Io sono giovane, posso trovare qualcosa da fare. Ma molti miei colleghi vivono situazioni difficili. C'è una persona che dovrebbe andare in pensione tra un anno e mezzo: ora non sa come fare». Qui c'è gente che lavora per i comunisti da vent'anni, dai tempi del Pci. Che ce l'ha con tutte le forze politiche, perché si sarebbero dovute mettere d'accordo per reintegrarli. Oppure fare una qualsiasi delibera in Aula. «La corsa alla riassunzione è già iniziata. Ma, come detto, troppi saranno a spasso da giovedì. Noi ci eravamo affidati ai nostri dirigenti, ma niente. Bertinotti come presidente della Camera poteva fare molto di più per noi e non lo ha fatto». Il funzionario apre anche la stanza 442: pure qui sembra tutto pronto per la partenza. Per terra ci sono gli scatoloni dell'onorevole Alberto Burgio. «Qua stanno avanti con i "preparativi", mentre in altre stanze qualcuno ancora non si è abituato all'idea». Racconta che molti di loro hanno dovuto staccare i poster delle manifestazioni appesi al muro da anni. Le foto di Genova, le bandiere rosse con la falce e il martello. Tutto andrà via. Anche quello che per ora resta in ordine nella stanza 461 andrà via. «Vede quel computer? Al mio collega stamattina sono venuti a ripurirgli l'hard disk. Ce ne andiamo».