Professore addio

Franco Marini e Fausto Bertinotti salgono al Quirinale e così il primo passo dell'iter istituzionale che porta allo scioglimento delle Camere è compiuto. Per la fine ufficiale della XV legislatura si dovrà però attendere stamattina, quando sarà Romano Prodi a salire sul Colle (tra le 11.30 e le 12) per controfirmare il decreto con cui il capo dello Stato apre di fatto la stagione della campagna elettorale. A quel punto entro settanta giorni dovranno tenersi le elezioni politiche. Ma l'appuntamento con le urne è quasi certo che sarà per domenica 13 aprile ed è molto probabile che si scelga di trasformarlo in un «Election day», cioè lo svolgimento nella stessa data delle elezioni politiche e del previsto turno amministrativo di primavera. La scelta di accorpare le diverse scadenze elettorali ha un duplice obiettivo: fa risparmiare le casse dello Stato e limitare il rischio astensionismo. La decisione è comunque delicata e deve tenere conto di diverse esigenze, tra cui quelle degli amministratori locali. Per legge, infatti, le amministrative si dovrebbero tenere tra il 15 aprile e il 15 giugno: dunque l'Election day il 13 comporta una anticipazione e l'accelerazione dell'iter. Una ragione in più per scegliere di procedere su due piani paralleli: il Consiglio dei ministri già oggi dovrebbe stabilire la data delle politiche, mentre il decreto con cui anticipare le amministrative dovrebbe arrivare solo la prossima settimana. D'altro canto, rimandare questo ultimo provvedimento di qualche giorno ha un vantaggio: consente di evitare che i consigli comunali sciolti a causa della scelta dei sindaci di presentarsi alle politiche restino senza un governo eletto dai cittadini troppo a lungo. L'Election day inoltre divide gli schieramenti ma non solo. L'opportunità di portare i cittadini alle urne una sola volta è stata anche al centro del breve Consiglio dei ministri che si è tenuto ieri. Ufficialmente convocati per decidere un'altra data, quella dei referendum elettorali, i ministri hanno discusso a lungo. In favore di un unico pacchetto di elezioni sarebbe sceso in campo il ministro dell'Interno Giuliano Amato, e con lui il premier Romano Prodi. La difesa sarebbe ruotata intorno a una parola chiave: risparmi. Ma dalle parti del Pd non si sarebbe nascosta più di qualche perplessità: mettere tutto insieme in un unico calderone, in caso di sconfitta alle politiche, potrebbe offuscare il buon risultato, ammesso di ottenerlo, a livello locale. Se il centrosinistra mostra quindi qualche dubbio, la Cdl afferma chiaramente di non condividere il progetto. Il rischio principale, dice il vicecoordinatore di FI Fabrizio Cicchitto, è la «confusione», con «sette schede messe nelle mani degli elettori». Forse, aggiunge, proprio quella confusione che il centrosinistra vuole produrre per nascondere la sua debolezza. E quello del caos elettorale è anche il timore dell'Udc Maurizio Ronconi: «Già da tempo - dice - è riconosciuto un comportamento difforme degli elettori tra le politiche e le amministrative». I cittadini di Roma si troverebbero in cabina a dovere fare i conti con ben cinque schede, avverte per An Ignazio La Russa: «Capisco le ragioni del risparmio ma gli sprechi sono altri...».