Paolo Zappitelli p.zappitelli@iltempo.it Stop ai ...

Ma che comunque il Parlamento deve ancora approvare. La norma prevede che nel concorso per associato e ordinario sia fatto un solo idoneo al posto dei tre come era previsto dalla legge Berlinguer del '98. Una modifica sostanziale, che di fatto azzera la possibilità delle università di bandire concorsi. In precedenza, infatti, c'era la possibilità, per gli atenei, di poter scegliere fra i tre candidati giudicati idonei e, in caso il vincitore fosse di un'altra università, di poter comunque chiamare il proprio ricercatore per un posto diverso o «dirottarlo» verso un altro istituto. Ora invece, spiegano i ricercatori, non esistendo più questa possibilità, le università non bandiscono più concorsi. Principalmente per un motivo economico. Un ricercatore «interno» che diventa associato o ordinario ha un costo molto basso perché l'aumento di stipendio è irrisorio. Il salario, infatti, è legato più all'anzianità che al ruolo. Viceversa, se il concorso viene vinto da un esterno, le università — che da quando hanno l'autonomia finanziaria sono in difficoltà di bilancio — si trovano davanti a un grosso esborso economico perché si trovano praticamente a dover assumere un'altra persona. Inoltre, restringendo a uno solo il numero di candidati idonei, si blocca anche la possibilità di uno scambio di professori tra diversi atenei. In più al «capolavoro» di Mussi, come lo definiscono i ricercatori, si aggiunge il fatto che le commissioni esaminatrici sono costituite da cinque professori. Un numero congruo quando i candidati da scegliere erano tre ma che diventa eccessivo ora che si tratta di definire un solo idoneo. Ma la norma del Milleproroghe non è stata l'unica decisione del ministro Mussi criticata dal mondo accademico. Nei giorni scorsi è stata la Corte dei Conti a bocciare il provvedimento del ministero per lo svolgimento dei concorsi per i ricercatori che prevedeva circa 4200 assunzioni. Oltre ai problemi contabili i giudici hanno anche rilevato che nel decreto si rileva «una notevole rigidità che tende a vanificare anche la competenza rimessa a organi universitari». La fase di valutazione dei candidati, infatti, realizzata da esperti revisori anonimi «viene, in sostanza — hanno spiegato ancora i giudici contabili — a espropriare la commissione giudicatrice» degli stessi atenei «dalle proprie funzioni di organo tecnico del medesimo concorso, cui è demandata sia la valutazione dei candidati sia dei titoli da questi presentati. A questo si aggiunge anche il fatto che l'anonimato delle attività degli esperti revisori esterni va contro le regole di trasparenza». Insomma, l'ennesimo fallimento.