Fabrizio dell'Orefice f.dellorefice@iltempo.it Ma che ...

Che grandi questi intellettuali, sempre loro, la vera avanguardia del Paese. Se poi sono anche di sinistra, loro sì, sono ancora meglio. Hanno qualcosa in più. A prescindere, direbbe Totò. Soprattutto a Napoli. Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica, scrive nel suo editoriale domenicale che Bassolino e la Jervolino si devono dimettere. È arrivato anche lui, buon ultimo. Il suo giornale è stato il principale cantore del rinascimento napoletano. Rinascimento che oggi, racconta Ermanno Rea al Corriere della Sera, «è stato un grande equivoco, fu un momento di euforia, poi deformato da quella parola insulsa: rinascimento. I politici ci hanno marciato. Anche Bassolino». E già, i politici ci hanno marciato. Anche gli intellettuali, però. Lui per esempio ebbe nel '99 un contributo da Comune per raccontare la favola della bonifica di Bagnoli, mai completata e oggi simbolo della nullafacenza partenopea: «Ora torno in fabbrica, torno alla classe operaia che va in paradiso», annunciava dopo quella torrida estate del '99. Poi ne ha fatto un libro, «La Dimissione», peraltro pluripremiato. Anche quattro anni dopo, quando si aprono le prime crepe sulla «Napoli rinata», era tra i fondatori di Diametro, un'associazione nata tra i fedelissimi di Bassolino per sostenerlo nelle prime difficoltà di immagine. Rea non è il solo. Mario Martone nel '97 dedica a Bassolino addirittura un episodio, «La salita», del film «Vesuviani». Siamo in piena agiografia filmica, celebrazione pellicolare sul megaschermo, visto che l'«opera», uscirà a poche settimane dal voto che porterà l'allora primo cittadino al suo secondo mandato. Il film riceve anche contributi dalla Rai, scoppia una polemica. Martone prova a difendersi: «Parlo di Napoli e del mio sindaco Antonio Bassolino - spiega il regista - mettendo in immagini lo stato d'animo di chi non si è mai illuso in questi anni sentendo parlare di "Rinascimento" napoletano e al tempo stesso di si era fatto demoralizzare negli anni passati in cui Napoli veniva definita un inferno». E aggiunge: «Ho il diritto di esprimermi come cittadino e come artista. Mi auguro che Bassolino venga rieletto». Ammette che dell'attuale governatore ne dà un «giudizio positivo ma non in assoluto, è stato il primo sindaco ad avere credibilità a Napoli». Sottolinea che l'episodio «parla di un uomo, in questo caso un simbolo, che messosi alle spalle le utopie giovanili si misura con la realtà e i problemi della città». Nel 2006 firma un appello a favore della candidatura a sindaco dell'outsider Marco Rossi D'Oria, il «maestro di strada» che recupera i ragazzi destinati alla delinquenza. L'appello comincia così: «Napoli è in ginocchio». In quegli anni nessuno si permette di contraddire Bassolino, nemmeno chi può. Il senatore a vita Francesco De Martino dice: «I nodi aperti? La soluzione non dipende dall'amministrazione comunale». Il filosofo Biagio De Giovanni, per un periodo anche parlamentare Ds, accusa Bassolino di aver preso «una deriva monocratica, creando un sistema che per nurtirsi aveva bisogno di consenso e di separarsi dalle forze vitali della città. Stop a dibattiti pubblici e critiche. Fallimento dei grandi progetti, ad esempio Bagnoli». Lui, facile ai cambiamenti di posizione (un tempo è stato anche monarchico), non la pensava così. Il 2 marzo 2000, quando si profila la candidatura di Bassolino alla Regione, De Giovanni gli rivolge dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno, un accorato appello: «Bassolino deve continuare a fare il sindaco». Accusa velatamnete i vertici dei Ds nazionali di voler depotenziare l'allora primo cittadino: «Ho l'impressione che si voglia trasformare la rivoluzione dei sindaci, alla quale anche io credo, in qualcosa di diverso». E avverte il rischio principale di un suo abbandono della città: «Per Napoli sarebbe il sacrificio di un ptrimonio che non deve essere buttato via». Il primo a suonare questa musica, comunque, resta Gerardo Marotta, il presidente dell'Istituto per gli studi Filosofici. Decide di riaprire il portone principale di Palazzo Serra di Cassano: era chiuso da quasi duecento anni, precisamente dal 20 agosto del 1799 per volere del proprietario subito dopo che il figlio Gennaro, patriota della Repubblica partenopea, lo varcò per andare al patibolo. Venne riaperto da Bassolino il 25 aprile 1995, non c'era nessuna ricorrenza né nella data né nell'anno: era il smbolo dell'ingiustizia del potere. Niente, è stata deviata la storia di una capitale europea per «cantare le lodi» di Bassolino. Fu solo una celebrazione in grande stile. L'allora sindaco non rimase nella pelle: «Il significato simbolico di questo momento è molto forte, l'apertura del portone rappresenta la speranza che ritorna a Napoli». E Bassolino, che non è certo un intellettuale della Magna Grecia, ci mette in mezzo pure i partigiani del '44 e annuncia solennemente che per la vera ricorrenza, il 20 agosto del 1999 «la nuova data dovrà essere realizzata». La definizione «rinascimento napoletano» nascerà quel mattino. Oggi tutti ne disconoscono la paternità.