E Walter archivia le riforme istituzionali

[...]da dare al percorso delle riforme (prima la legge elettorale e poi le modifiche istituzionali o viceversa?) qualcuno aveva ironizzato: «Ma come? Nei supermercati mangano il latte, le verdure, il pane e loro stanno qui a litigare su cosa fare prima o dopo? Ai cittadini non importa niente di tutto questo». L'osservatore, distratto, si sbagliava. Perché dietro quell'insignificante schermaglia si nasconde molto di più. Basta tornare con la memoria allo scorso 26 novembre quando Fini e Veltroni si incontrarono per la prima volta. Con quel faccia a faccia il segretario del Pd iniziava una serie di consultazioni che si sarebbe conclusa il 30 con Silvio Berlusconi. Non fu sicuramente un incontro storico. I due interlocutori faticarono e non poco a trovare dei punti condivisi ma, alla fine, Veltroni si presentò sorridente davanti ai giornalisti. «Con Fini - spiegò - c'è convergenza sul pacchetto di riforme istituzionali all'esame della Camera». Ma, soprattutto, c'è convergenza sul fatto che «le riforme costituzionali e la nuova legge elettorale vanno di pari passo». «Per noi - continuò - non esiste un problema esclusivo di legge elettorale ma di un nuovo assetto istituzionale per uscire dalla crisi del sistema e quindi non siamo disponibili a discutere solamente sulla legge elettorale». Peccato che mercoledì, davanti allo stesso interlocutore, Veltroni abbia offerto una versione diversa. E mentre Fini lo invitava a cambiare l'ordine delle priorità («facciamo prima la riforma istituzionale e poi quella elettorale»), il segretario del Pd, agitando lo spettro del referendum, replicava: prima cambiamo il sistema di voto in Parlamento e, subito dopo, lavoriamo alla riforma istituzionale. Insomma il sindaco di Roma sembra aver derubricato il tema delle modifiche alla Costituzione. E non è un caso che Ermete Realacci, uno degli uomini che Veltroni ha voluto all'interno dell'esecutivo del Pd, parlando della discussione in corso, spieghi: «Non può esistere una nuova legge elettorale senza una riforma dei regolamenti parlamentari. Questo è il primo punto. Per il resto vedremo se si riuscirà a trovare un'intesa». E, visto quello che sta accadendo sulla modifica del sistema di voto, è lecito avere qualche dubbio. Anche perché è ormai convinzione comune che, dopo la riforma della legge elettorale, si andrà diretti al voto. E Gianfranco Fini tuona: «Parlare di legge elettorale ed escludere dalla discussione le riforme istituzionali è solo una scorciatoia per andare a votare al più presto». In ogni caso Veltroni è assolutamente persuaso ad andare avanti. «Non ci lasceremo intimidire - spiega ancora Realacci - anche se sappiamo che esistono resistenze tra i nostri alleati. Ma non si può fare la rivoluzione sperando in una standing ovation. È chiaro che se vogliamo cambiare la legge elettorale bisognerà rompere qualche uovo, ma mi sembra che anche nella sinistra radicale ci siano posizioni diverse. Rifondazione è disponibile, mentre Verdi e Pdci sono più legati ad una logica identitaria». E anche sul rischio che un'accelerazione porti ad una crisi di governo Realacci non sembra preoccupato: «Col referendum ci sarebbe comunque una crisi e, soprattutto, arriverebbe una legge peggiore di quella che si sta configurando adesso». Insomma, il Pd va avanti per la sua strada lanciato verso un accordo che coinvolga l'opposizione e quella parte della maggioranza che si è resa più disponibile. Poco importa se, come sembra, tutto questo porterà dritti alle urne, Veltroni lo ha già detto concludendo l'Assemblea costituente del Pd: «Ci presenteremo davanti agli italiani con dei punti e delle proposte chiare di innovazione, se saranno condivise bene, altrimenti il Pd coltiverà fino in fondo la sua vocazione maggioritaria». Tradotto: andrà da solo alle elezioni.