Schifani (FI): «Il voto sull'Afghanistan non ci dividerà»

Insomma non cambia nulla negli equilibri della Cdl anche se avremmo preferito una posizione diversa da parte di Casini». Renato Schifani, capogruppo dei senatori di Forza Italia, dice che ha sperato fino alla fine in un ripensamento da parte di Casini. È forse questo il motivo della decisione di astenersi invece di dare un No secco? Forza Italia non vuole approfondire il solco che la separa dall'Udc? «Il problema non è nei rapporti con l'Udc. Con l'astensione vogliamo dare il senso di un cambiamento di valutazione rispetto al voto alla Camera. Quando si era votato a Montecitorio non si erano verificati alcuni episodi come la liberazione di Mastrogiacomo. Il nostro governo è diventato l'anello debole della coalizione è stato bacchettato da tutti gli alleati europei per non parlare della crisi ormai grave nel rapporto con gli Usa. Questo è un governo che ha preferito trattare con i tagliagola, andare a patti con loro anzichè utilizzare le strutture dello stato come il Sismi e le diplomazie. Questo scenario ha indebolito le presenze dei nostri militari che ora sono divenuti ostaggio potenziale dei talebani. A ciò si aggiunge il peggioramento del quadro territoriale afghano alla luce degli ultimi attentati, ben due in soli sette giorni contro le truppo militari. Era necessario a questo punto un radicale mutamento delle condizioni di difesa dei nostri militari che passasse da un sostanziale potenziamento delle loro strutture e da una più efficiente possibilità di coordinamento con le altre forze senza vincoli reciproci». Questo spiega il No ma allora perchè avete deciso per la formula soft dell'astensione? «Perchè in ballo c'è una valutazione sulla politica estera di questo governo il cui ministro degli esteri passeggia con gli Hezbollah e propone attraverso Fassino una conferenza di pace con i talebani. Allora la nostra astensione vuole essere una presa di distanza da questo tipo di politica che non si spinge fino al voto contrario perchè la politica umanitaria attraverso i nostri militari è stata sempre condivisa e sostenuta dal centrodestra. Ritengo l'astensione un giusto punto di mediazione tra questi due punti». Qualora il decreto non dovesse passare i militari saranno costretti a tornare? «Innanzitutto penso che il decreto passerà sia perchè l'Udc ha deciso di votare a favore sia perchè la maggioranza potrebbe avere i numeri seppur per un soffio per farlo approvare da solo. Ma in questo caso emergerebbe in tutta evidenza come si arriverebbe a questa approvazione in Senato attraberso la essenziale condivisione dei senatori a vita. Non solo. Mancherebbero i famosi 158 voti politici richiesti dal presidente della Repubblica durante la crisi. Insomma la crisi di questo governo anche domani (oggi, ndr.) si manifesterà in tutta evidenza perchè con o senza i voti dell'Udc il governo dimostrerà di non avere la maggioranza in politica estera. Nessun militare tornerebbe in Italia. Vi sono precedenti della Corte Costituzionale del '96 che ammettono la reiterabilità dei decreti in presenza di eventi nuovi e straordinari e poi basterebbe una legge da approvare in commissione in sede deliberante in pochi giorni». In caso di bocciatura Prodi dovrebbe dimettersi? «Io credo che Prodi domani (oggi, ndr) dovrebbe avvertire l'esigenza di dimettersi perchè gli verranno a mancare i voti chiesti dal Capo dello Stato come maggioranza politica. Si ripeterà lo scenario che ha visto la caduta di D'Alema in Senato e le conseguenti dimissioni, non è cambiato nulla. Credo che Prodi dovrebbe prenderne atto e non trincerarsi dietro il soccorso dei senatori a vita o di altri. Non si può governare il Paese se non si è autosufficenti a livello parlamentare». Il voto dell'Udc lei lo interpreta come un soccorso a Prodi? «Noi avremmo auspicato una posizione unitaria di tutta la coalizione perchè l'elettorato guarda a questo voto come a un voto pro o contro il governo. Il voto costituisce una opportuna occasione politic