Sergio Mattarella: «Non dobbiamo creare ulteriore precarietà. Il bipolarismo resta»

Sergio Mattarella, ex ministro democristiano, vicepresidente del Consiglio nel primo governo D'Alema e ministro della Difesa dal 1999 al 2001, oggi è deputato dell'Ulivo e presidente della Giunta giurisdizionale per il personale della Camera. E da Montecitorio guarda con scetticismo alla possibilità che il dialogo tra i Poli sulla riforma delle legge elettorale, porti ad un'intesa. «Non sono pessimista - dice - ma mi sembra molto difficile trovare un punto di equilibrio». Insomma alla fine il dialogo non porterà a niente? «Dialogare è sempre proficuo perché si contribuisce ad aprire un dibattito». Stavolta, però, si rischia di dibattere sui massimi sistemi? «Diciamo che, allo stato attuale, mi sembra difficile che si possa trovare un'intesa». Perché? «Perché la riforma varata dalla Cdl con cui si è votato alle ultime elezioni ha aperto un "vaso di Pandora"». In che senso? «Nel senso che ha favorito la tendenza alla frammentazione. Oggi in Parlamento siede una quantità significativa di piccoli partiti che sono determinanti e faranno sentire il proprio peso nella discussione. Anche perché non vogliono certo avallare la loro eliminazione». Ci saranno pure dei punti su cui è possibile creare una convergenza? «Non me ne voglia ma, se solo ne vedessi qualcuno, sarei veramente lieto di indicarglielo. Ad oggi vedo solo un forte dissenso, diversi interessi contrapposti e, francamente, non riesco proprio a capire quali possano essere i punti di confronto». Qualcuno dice il sistema elettorale alla tedesca? «Anche quando si evocano i sistemi elettorali stranieri ci sono divergenze. Da un lato c'è chi parla di sistema tedesco che è un proporzionale puro. Dall'altro chi indica il modello francese che, però, è un maggioritario. Mi sembra che siamo veramente lontani da un punto di equilibrio». Allora meglio tenersi la legge attuale? «Questo è il vero paradosso. Noi abbiamo un sistema che va necessariamente cambiato. Su questo siamo tutti d'accordo eppure c'è una difficoltà evidente a trovare un'intesa». E all'orizzonte c'è il referendum... «Credo che il referendum rappresenti un rischio». Perché? «Perché se non si raggiungesse il quorum questa legge "dissennata" verrebbe ulteriormente consolidata». Se invece venisse approvato? «Si andrebbe verso una forzatura. Le liste comuni, infatti, spingerebbero i partiti maggiori a inglobare i partiti minori, ma poi si tornerebbe alla frammentazione una volta arrivati in Aula. Questo significa, ad esempio, che il Partito Democratico, prospettiva a cui guardo con convinzione come deputato dell'Ulivo, verrebbe ucciso nella culla». Insomma lei è per un rafforzamento del bipolarismo? «Assolutamente sì. Anche perché il bipolarismo, in questi anni, ha portato ad un sistema più "nitido" e ha favorito la piena scelta dei cittadini. Un patrimonio di sovranità effettiva che non può essere perso. Per questo provo rammarico per l'abrogazione della precedente legge». Mi scusi, ma questo è conflitto di interessi... «Non voglio dire che la mia era la legge migliore, ma si trattava sicuramente di una buona legge che, dopo tre applicazioni, cominciava finalmente ad entrare a regime. Non dimentichiamoci che, alle elezioni del 2001, venne garantita una maggioranza significativa in ambedue le Camere e furono solo cinque i partiti che superarono la soglia di sbarramento». Oggi invece? «Adesso gli schieramenti sono condizionati dai partiti minori. Anche la discussione su una nuova legge elettorale sarà vittima di questo meccanismo. Credo che sarà possibile raggiungere un'intesa tra i partiti maggiori ma, alla fine, sarà impossibile applicarla». Eppure anche lei, nella sua legge, inserì una quota proporzionale. Perché? «Principalmente per due ragioni. La prima era consentire una presenza in Parlamento anche a chi non si candidava all'interno di una coalizione. La seconda era evitare che alcune Regioni fossero monocolori, cioè rappresentate da un'unica coalizione. E poi quella parte di proporzionale era storicamente