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Fassino si smarca da Prodi e prepara la battaglia sulle riforme

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E' di pessimo umore. E non per il corteo organizzato dal centrodestra a piazza San Giovanni. Il successo della manifestazione dell'opposizione Piero Fassino l'aveva messo in conto. Come pure aveva previsto che i primi mesi di governo sarebbero stati duri. E impopolari. Il segretario dei Ds è stanco. Stanco di fare da parafulmine. Il partito sembra diventato una calamita di rogne. Da mesi Fassino non fa altro che difendere la Finanziaria. «E a volte - rivela una fonte parlamentare vicina al leader diessino - ha la sensazione di essere da solo». Gli altri, in sostanza, se ne fregano. Occupano i loro ministeri, hanno di meglio da fare. Chi sono gli altri? La lista si apre con il ministro degli Esteri Massimo D'Alema. E, sostanzialmente, si chiude con lui. Nessuno, al Botteghino, ha voglia di ammetterlo apertamente. Sotto traccia, però, c'è tensione. Il titolare della Farnesina, sui temi di politica economica, si mantiene molto defilato. Tocca dunque a Fassino sporcarsi le mani. Fare il lavoro duro. Ieri il segretario diessino ha presentato una serie di proposte per attenuare la rabbia delle forze dell'ordine contro la Finanziaria. Ha chiesto più fondi per la ricerca e l'università. Affidata la cabina di regia al capogruppo al Senato, Anna Finocchiaro, Fassino ha assunto un approccio diverso. Si sta smarcando. Sintomo della volontà di assumere una posizione terza rispetto al governo di Romano Prodi. Con l'anno nuovo, poi, si cambia marcia. Ai suoi ha spiegato che «da gennaio si parte con le riforme vere o il partito porrà un problema politico alla coalizione». Pensioni, legge Biagi, federalismo fiscale, liberalizzazioni. Fassino è convinto che si debba aprire una fase due. «Dobbiamo mettere mano a iniziative strutturali o l'anno prossimo, a settembre, avremo di nuovo il problema di una finanziaria pesante come questa. E stavolta il Paese non ce lo perdonerebbe». Ma il governo ce la farà? Al Botteghino non scommettono. Al massimo lasciano circolare una battuta sapida: «Non si sa quanto durerà l'esecutivo del professor Prodi. Ma sicuramente di più di Tommaso Padoa Schioppa al ministero dell'Economia». Già. Il destino del superministro di via XX settembre sarà deciso a gennaio. In molti, nella maggioranza, si sono resi conto che la politica economica del governo non può essere lasciata in mano a un tecnico. Specie nelle fasi più convulse della Finanziaria. E Padoa Schioppa non troverà sponde a Via Nazionale. Dove prende piede la convinzione che, al ministero dell'Economia, serva un politico tout court. Che sia proprio Piero Fassino il candidato alla successione? L'idea non trova riscontri. «I Ds sono l'elemento di stabilità della coalizione». Fassino lo ripete di continuo ai suoi. Specie nei momenti difficili. Ciò comporta anche delle grane, però. Come sul partito democratico, per esempio. Lunedì mattina il segretario dei Ds s'è dovuto sorbire le lamentele di Luciana Sbarbati e dei Repubblicani europei. Non si sentono abbastanza coinvolti nel Pd. E lui c'ha dovuto mettere una pezza. Stessa storia con il correntone interno. Fassino ha chiesto più soldi per il ministero di Mussi tendendogli la mano. Lui, per tutta risposta, ieri ha presentato la fondazione della sinistra Ds.

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