Una crociata iniziata contro le «regioni rosse»

E il grido, l'allora (solo) senatore Giorgio Napolitano l'aveva scagliato già un anno fa. Il 15 luglio 2005, per la precisione. Parole messe nero su bianco e racchiuse in un ordine del giorno presentato al consiglio nazionale dei Ds. Un testo che aveva creato non pochi imbarazzi al Botteghino perché conteneva affermazioni durissime nei confronti delle Regioni. E puntava l'indice soprattutto contro quelle appena vinte, nelle elezioni del precedente aprile, dal centrosinistra. La mozione, che poi sarà approvata all'unanimità, ricordava come il successo alle Regionali «impone una nuova responsabilità, non solo in termini di innovazione nei contenuti e di coerenza programmatica, ma anche in termini di sobrietà nei comportamenti e di rigore morale». Quindi accusava già al secondo capoverso: «Quanto avvenuto in alcune esperienze del governo locale e regionale, anche rette dal centrosinistra, sul piano della moltiplicazione degli incarichi politici ed amministrativi, ha suscitato sconcerto e giustificate critiche nell'opinione pubblica». Napolitano poi entrava nel merito della sua arringa: «La dimensione dei costi impropri della politica rischia di assumere dimensioni inaccettabili, tanto più in un momento di crisi economica e di difficoltà per i conti pubblici e per i bilanci familiari», «tutto questo contribuisce a porre una questione di qualità della democrazia e delle istituzioni». E ancora: «Non affrontare il nodo dei costi impropri della politica e di una rigorosa prassi istituzionale ed amministrativa significherebbe lasciare il campo al rischio dell'emergere di una nuova "questione morale". Tali tendenze degenerative vanno combattute rafforzando il ruolo di indirizzo e di controllo delle assemblee elettive, contrastando fenomeni di esasperazione personalistica della politica e la proliferazione di strutture funzionali ad essa, anche sottoponendo a verifica il quadro normativo e istituzionale che attiene al funzionamento della politica stessa». Il futuro presidente della Repubblica impegnava quindi il suo partito a «riprendere la riflessione dell'iniziativa culturale e progettuale sui temi istituzionali e sulla riforma della politica ponendola tra gli assi centrali dell'identità dei Ds e del contributo al programma dell'Unione, per giungere ad una proposta che risponda in modo efficace alle attuali esigenze della società italiana». E invitava i rappresentanti dei DS in tutte le istituzioni, nazionali, regionali e locali a proseguire ed intensificare l'impegno per una rigoroso pratica politica ed amministrativa, come uno dei terreni primari della nostra sfida alle destre». Ma che cosa aveva fatto infuriare Napolitano? La proliferazione di posti, posticini, poltrone. In Piemonte era stata istituita la delega alla pace e l'assessore allo sviluppo dlela montagna; in Toscana era la volta dell'assessorato al perdono, nelle Marche ad un assessore toccava occuparsi di veterinaria. In Campania, la regione di Napolitano, il presidente Bassolino aveva voluto una commissione sul mare e una sul Mediterraneo, come se Napoli fosse bagnata dall'Oceano. non solo ma aveva anche stabilito un assesorato al tempo libero. E in Puglia, Niki Vendola aveva voluto invece direttamente un assessorato per il «Mare Nostrum», oltre che uno per la cittadinanza attiva e uno per la solidarietà. Troppo anche per il padre nobile della sinistra italiana che aveva così deciso di porre un freno con un ordine al partito. E poi si è legato al dito il tema. Ieri se n'è ricordato.