di GRAZIA MARIA COLETTI CI ANDREMO, ma non si sa nemmeno come e quanto ci resteremo.

Poi è arrivato il sì delle commissioni di Camera e Senato, che ha fatto registrare solo due astensioni a Palazzo Madama, quella dell'ex presidente Marcello Pera e - solo sul secondo punto della risoluzione - del leghista Sergio Divina, dopo il dibattito seguito alle comunicazioni dei ministri degli Esteri, Massimo D'Alema, e della Difesa, Arturo Parisi. Stringi stringi, alla fine ricorderemo solo che è stata espressa una volontà politica, in un afoso venerdì romano che ha costretto Prodi a rinunciare alla bella spiaggia di Castiglion della Pescaia, dove il premier sta trascorrendo le ferie (ma alle 15 come s'è defilato per non perdersi l'ultimo scampolo di sole! Anche se prima ha addirittura trovato il tempo di spiegare a due turisti francesi ebrei, le ragioni della partecipazione italiana alla forza di pace, seduto in un bar nei pressi di Montecitorio). L'Italia sarà in Libano, ma è tutto vago. Non sono ci sono neanche le regole d'ingaggio, oscura la catena di comando. C'è solo la dichiarazione politica di intenti, con riferimento ai contenuti della risoluzione Onu 1701. Basta leggere il documento (riscritto quando la Cdl ha puntato i piedi) che recita: gli organismi parlamentari, «valutata positivamente la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite numero 1701 dell'11 agosto 2006, impegnano il governo ad adottare ogni iniziativa per assicurare il sostegno umanitario alle popolazioni civili della regione; ad adottare ogni iniziativa per assicurare che l'Italia abbia un ruolo attivo per la piena attuazione della risoluzione 1701, compresa la partecipazione di un contingente italiano alla forza Unifil». La risoluzione impegna infine il governo «a tenere costantemente informato il Parlamento». La Cdl s'è l'è fatto mettere nero su bianco. Così quando sarà il momento in cui l'esecutivo indicherà il numero dei militari impegnati, le regole di ingaggio, i mezzi, i costi, il Parlamento sarà chiamato a pronunciarsi di nuovo. E non saremo noi a disarmare Hezbollah. Se il buongiorno si vede dal mattino, per Prodi non era iniziato col vento in poppa. Casini a parte, An, Lega e Forza Italia avrebbero voluto rinviare il voto. Poi è arrivata la telefonata di Berlusconi, e il compromesso tra i poli. Ma tornato a Castiglion della Pescaia Prodi si compiace: «È andata bene. Mi fa piacere che si sia trovata una convergenza su un problema così importante per l' Italia. È stata una prova di serietà e di maturità» dirà. Più o meno gli stessi toni del dopo-Cdm: «Abbiamo una ragione politica fondamentale per partecipare alla missione nel quadro del multilateralismo solido e condiviso, a conferma che il governo italiano e la maggioranza parlamentare italiana sia in grado di giocare un ruolo internazionale che spetta a un Paese come l'Italia in un'area di vitale importanza. Abbiamo assunto un atteggiamento di consapevole prudenza e serietà» aveva spiegato il premier ribadendo le priorità di un mandato chiaro con regole di ingaggio precise e l'accettazione della missione Unifil anche da parte di Hezbollah «e su questo ho avuto rassicurazioni dal premier Siniora» aveva detto. Il suo vangelo è «la risoluzione Onu» e «gli articoli dell'Onu - concludeva - non lasciano spazio ad equivoci: sarà una missione di pace». Massimo D'Alema non aveva nascosto al Parlamento «le difficoltà» dell'impegno italiano in Libano, ma aveva ribadito con forza la necessità di «rispondere positivamente alla richiesta dell'Onudi affiancare i caschi blu all'esercito libanese per riportare la pace nel Paese dei cedri. Una decisione che il governo vuole condividere, in tutte le sue fasi, con il parlamento». Una decisione in vista di un'operazione importante per il ruolo del Paese sulla scena internazionale e nello scacchiere mediorientale, non priva di rischi, sono i concetti sintetizzati dal ministro Parisi, che aveva parlato di missione «lunga, rischiosa, impegnativa e costos