Fini e Casini contro Berlusconi che replica: «Ora basta, vedetevela voi con Letta. Resto a Milano»

Ci pensa Pier Ferdinando Casini a rompere subito il ghiaccio. In maniera abbastanza brusca. E chiara. Ormai nella Cdl ci sono due linee. Da un lato c'è Silvio Berlusconi che in pubblico continua a sparare bordate contro Massimo D'Alema e in privato, parlando con i suoi, si lascia andare quasi a complimenti verso l'odiato presidente dei Ds. Dall'altro ci sono Casini e Gianfranco Fini, che invece temono che il Cavaliere stia trattando riservatamente con il nemico. E sono contrari anche perché hanno loro candidati, uno a testa, da lanciare nella mischia. E così, quando i tre s'incontrano si vedono scintille. Accade a Milano, nel retro del Palalido, prima che inizi la manifestazione pro-Letizia Moratti. Il primo ad arrivare nella saletta riservata ai vip è Gianfranco Fini, poi arriva Berlusconi. I due si salutano, stretta di mano. Il Cavaliere prova a sciogliere la tensione, ma il leader di An è piuttosto rigido. Arriva Casini che evidentemente è d'accordo con il capo della destra: staniamo il Cavaliere, cerchiamo di scoprire se c'è una trattativa segreta tra lui e D'Alema. E visto che il giorno prima a fare il ruolo del rompiscatole era toccato a Fini (scoprendo il giochino dell'ambiguo comunicato dell'Unione), stavolta è l'ex presidente della Camera ad attaccare. E chiede un chiarimento al Cavaliere. Che viene colto di sorpresa. Sbuffa: «Sono contro D'Alema. Lasciate stare quello che vedete sui giornali. State a sentire quello che vi dico io». S'aggrega Fini: «Silvio, qualcosa non torna. Attaccando così duramente D'Alema sembra che lo vuoi rafforzare. E poi insisti con Letta. Lo sai, Gianni sarebbe un grande presidente. Ma stai irrigidendo l'Unione che così andrà fino in fondo sul presidente dei Ds. Non possono tornare indietro se continui così. E ci troveremo davvero D'Alema presidente». Berlusconi si spazientisce, si ribella. Non ci sta ad essere messo nell'angolo, per giunta dagli alleati, si dimena: «State scherzando? Mi sono battendo con tutte le mie forze per non far passare D'Alema. Se c'è qualcuno che sta trattando non sono io. Piuttosto guardate bene nei vostri partiti». La tensione sale, si alzano le voci. I tre si appartano perché nella stanza ci sono anche i rispettivi staff e la situazione è troppo delicata. Berlusconi insiste: «Non abbiamo scelta, dobbiamo picchiare duro in questa fase». Ma Fini e Casini hanno un'altra strategia. La spiega il leader di An: «Dobbiamo fare dei nomi». E il leader dell'Udc insiste: «Facciamo dei nomi anche di centrosinistra». S'è fatto tardi, la Moratti aspetta, bisogna iniziare la manifestazione. Berlusconi sale sul palco scuro in volto, con la faccia tutta tirata. Gli altri due arrivano separatamente. Il Cavaliere nel discorso pubblico attacca duro, le altre due ex punte della Cdl sono più morbide. Dopo tornano tutti nella stessa stanza e si ricomincia a discutere. Fini e Casini insistono: «Facciamo la nostra rosa». Berlusconi non ci sta: «No, i nomi li devono fare loro e noi li giudichiamo. Bocciamo D'Alema e li mettiamo nei guai». Fini prova a mediare: «Una cosa non esclude l'altra. Noi possiamo fare i nostri nomi e loro i loro. Ci scambiamo le rose e vediamo». Casini è d'accordo: «Vedrai, almeno un nome ci sarà nella nostra rosa e anche nella loro. E non sarà D'Alema». Il leader Udc pensa a Monti, Fini ad Amato. Ecco il metodo dell'Hotel Gallia (guarda caso proprio a Milano), dove si svolgeva il calciomercato negli anni Ottanta. Quando un giocatore era diviso tra due squadre, ognuna infilava la sua offerta in una busta chiusa e la scambiava con l'altro team: chi faceva la proposta migliore, aveva la meglio. Così venne conteso lo stopper Fulvio Collovati tra Milan e Inter. È un metodo che nel calcio ha funzionato e funziona: anche oggi si fa così. E così si potrebbe scegliere anche il prossimo presidente della Repubblica. Berlusconi non è molto convinto (quel metodo lo conosce molto bene) e polemicamente se ne va sbattendo la porta: «Vedetevela con Gianni Letta. Incontratevi a Roma, io non ven