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Ancora senza soluzione la battaglia tra D'Alema e Bertinotti per la presidenza della Camera

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Marini corteggia la Cdl per blindare il Senato

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È quello tra Massimo D'Alema e Fausto Bertinotti per sedere sullo scranno più alto di Montecitorio. Uno scontro che ieri ha vissuto l'ennesima giornata di stallo con i due contendenti (e i rispettivi partiti) che non sembrano assolutamente disposti a fare un passo indietro. E mentre lo staff del leader Prc fa sapere che non esistono trattative sulla presidenza della Camera (ed esclude categoricamente eventuali compensazioni con altri ministeri), la Quercia è irremovibile: quella poltrona spetta a Massimo D'Alema. «È del tutto legittima l'aspirazione di Fausto Bertinotti - ha osservato il presidente dei deputati Ds Luciano Violante - a ricoprire il prestigioso incarico di presidente della Camera. Ma in democrazia conta anche la rappresentatività. Quindi, il maggior partito della coalizione, ha il diritto di esprimere un suo candidato autorevole». E a nulla è servito il faccia a faccia privato che D'Alema e Bertinotti hanno avuto a Bruxelles (dove i due si trovavano per rassegnare le proprie dimissioni dall'Europarlamento). Un'ora circa di colloquio in cui, da quanto si apprende, i due hanno ribadito le proprie aspirazioni e ambizioni lasciando la palla nelle mani di Prodi. Una notizia che non ha certo entusiasmato il leader dell'Unione che ormai da giorni sta cercando una soluzione che possa accontentare tutti. Un'ipotesi potrebbe essere quella, circolata nei giorni scorsi, di dirottare Massimo D'Alema verso la poltrona di successore di Carlo Azeglio Ciampi. Un'idea che raccoglierebbe molti consensi all'interno del centrosinistra dove si guarda con preoccupazione alla durata del futuro governo Prodi che sembra destinato a cadere alla prima difficoltà. Così fosse qualcuno pensa di replicare quanto accaduto nel 1998 quando Scalfaro diede a D'Alema il mandato di formare un nuovo governo senza tornare alle urne. Per questo diventa assolutamente fondamentale mandare sul Colle un uomo di massima fiducia. Ma il presidente della Quercia, che non è certo uno sprovveduto, avrebbe già dettato le sue condizioni per mettersi al riparo da spiacevoli sorprese: prima mi eleggete presidente della Camera poi, se volete, mi mandate sul Colle. Dopotutto D'Alema può citare anche un illustre precedente quello che, nel 1992, vide proprio Oscar Luigi Scalfaro prima succedere a Nilde Jotti a Montecitorio e poi, un mese dopo, salire al Quirinale. E così si torna punto a capo. Anche se il Botteghino starebbe ragionando su altre soluzioni. Ad esempio quella di lanciare nella trattativa il nome di una donna o come vicepremier (si pensa ad Anna Finocchiaro) o, ancora meglio, come presidente della Camera (in pole position ci sarebbe Livia Turco). Quet'ultima ipotesi potrebbe convincere sia D'Alema che Bertinotti a fare un passo indietro, ma sembra comunque la meno praticabile. Soprattutto perché Bertinotti è stato chiaro: vuole la presidenza della Camera, non accetterà nient'altro. Meno complicata, anche se non priva di rischi, la strada che dovrebbe portare Franco Marini sulla poltrona di presidente di Palazzo Madama. La Margherita non ha nessuna intenzione di mollare anche perché, storicamente, la presidenza del Senato è sempre stata appannaggio di un moderato. E così, da settimane, Marini veste i panni di unico (e per questo favorito) candidato alla poltrona. Ma dalle parti di via del Nazareno c'è comunque un po' di preoccupazione soprattutto in uno scenario come quello attuale dove tutto potrebbe essere rimesso in discussione da un momento all'altro. A turbare i sogni dei Dl è principalmente Clemente Mastella che ha già fatto sapere di non disdegnare la presidenza di palazzo Madama e che, con i suoi senatori, potrebbe risultare decisivo. Il presidente del Senato, infatti, viene eletto a scrutinio segreto e con la maggioranza assoluta dell'Assemblea (nelle prime due votazioni). Così, da qualche giorno, i deputati della Margherita, per evitare sorprese, hanno cominciato a ce

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