«Batteremo i comunisti come nel '48»

Non voleva farsela mancare per nessun motivo e in gran segreto s'è fatto condurre a Posillipo, in un famoso ristorante, per gustarsi in santa pace un vera, verace margherita. Margherita nel senso di pizza, non di partito. Berlusconi ha speso molto in questa campagna elettorale. E a dispetto dei suoi quasi settant'anni, ha dimostrato di averne una trentina, spendendosi sino all'ultimo anelito d'energia. Un finale rabbioso il suo, che nel comizio di chiusura della campagna elettorale, in piazza Plebiscito a Napoli, torna alle radici. Al vecchio richiamo del '94 che ha una sola parola chiave: libertà. Condito da una novità, la novità della campagna elettorale: «Siate sicuri, domenica e lunedì vinceremo perché non siamo coglioni». E non c'è dubbio che nessuno come lui — almeno in politica — riesce a suscitare tanti entusiasmi e tanti odii. Alle volte anche imprevedibili, come quando a manifestazione conclusa, fa visita al prefetto di Napoli, in uno dei palazzi che delimita la piazza, s'affaccia e la gente sotto gli grida: «Duce, duce». Questo è Berlusconi, un uomo che anche nel suo rush finale è riuscito talmente a imbrogliare le carte di una partita che sembrava definitivamente chiusa, archiviata, da mandare in tilt i sondaggisti. E solo lui, in fondo, riesce a scatenare i napoletani che si sbizzarriscono con striscioni di ogni tipo: «Berlusconi presidente e disoccupati al lavoro». Oppure: «Montezemolo, Epifani e Della Valle uniti per fregare gli italiani». E non poteva mancare un «Non siamo coglioni». Il discorso finale del Cavaliere richiama nei toni quello della sua discesa in campo. Ma anche quello del credo laico, tanto evocato. A tratti sembra un discorso di commiato, quasi un testamento. Comincia volendo scaldare la piazza con le domande alla folla: «Volete essere governati da chi è stato complice delle peggiori tirannie della storia?». «Nooooo», risponde il pubblico. «Persone che hanno avuto come leader Mao, Pol Pot, Lenin?», incalza. E segue un «Nooo» ancora più convinto. E il Cavaliere insiste: «E che sono sempre stati dalla parte sbagliata della storia? Ed essere governati dalle toghe rosse e da chi usa la magistratura per fini politici?». «Nooooo», insiste la piazza. Insomma, Berlusconi oggi come dodici anni fa, quando chiuse la vittoriosa campagna elettorale proprio a Napoli, è convinto che gli italiani si trovano di fronte a «un bivio storico, assai simile a quello del '48 quando le forze democratiche respinsero l'offensiva comunista ancorando saldamente il Paese all'Occidente, alla democrazia e ai suoi valori». E l'evocazione del '48, o di qua o di là, lo scontro frontale, la scelta di campo, il pericolo dell'avversario è stato anche stavolta il vero leit motiv della campagna elettorale. Perché è ormai chiaro che soltanto il Cavaliere riesce a parlare a un pubblico recondito, nascosto, che non si vede. Che non si mostra. Un pubblico disinteressato, poco appassionato alla politica che Berlusconi riesce a prendere proprio per la pancia. Parlando direttamente allo stomaco e al portafoglio di quest'Italia. E quell'Italia si mosse agli albori della Repubblica per respingere il pericolo comunista e, secondo il Cavaliere, s'è mosso sempre in questi sessant'anni per non consegnare mai l'Italia al centrosinistra. Neanche nel '96, quando Prodi riuscì a recarsi a Palazzo Chigi grazie a una vittoria nel maggioritario ma non nel proporzionale, il sistema con il quale si vota in questa tornata. Berlusconi rispolvera il credo laico, la difesa della libertà. Ricorda che la sua scesa in campo è stata necessaria proprio per questo, per difendere la libertà. E dare maggiore libertà significa anche liberare da qualche altra tassa. Come l'Ici sulla prima casa. Berlusconi sceglie Napoli sapendo che coreograficamente è quella la piazza che può fare maggiore effetto. E non a caso la kermesse viene costruita un po' televisivamente per conquistare gli ultimi spazi nelle dirette dei telegiornali. E proprio per le telecamere viene sacrificata una buona f