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di MAURIZIO GALLO LE DUE coalizioni «corrono» per vincere la battaglia delle urne.

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E, mentre il nostro Paese deve affrontare le sfide avveniristiche del Terzo Millennio, centrosinistra e centrodestra si confrontano su tematiche ottocentesche. Il 10 aprile, insomma, ci troveremo davanti a uno stallo. Che fare, allora? L'unica soluzione è la nascita di un grande partito dei moderati. Un Terzo Polo, insomma. Parola di Vincenzo Scotti, oggi docente alla Link Campus University di Malta, ex democristiano ed ex ministro dei Beni culturali, del Lavoro, della Protezione civile, dei Rapporti comunitari, degli Interni e degli Esteri. Perché un terzo polo? «È un tentativo di superamento degli attuali due poli dominati dalle loro ali estreme, un po' come il Kadima israeliano. Né destra, né sinistra sono stati in grado di affrontare i nodi del rilancio economico, del risanamento del deficit pubblico e del riordino del welfare». Quando ha deciso di scendere nuovamente in campo? «Ho aspettato a lungo e invano che alle parole dei vari Follini, Casini e Rutelli seguissero i fatti». Quali? «La costruzione di un centro che riunisse i riformisti moderati italiani». Ma la vostra è una corsa virtuale. Non avete alcuna chance. E poi con questa legge elettorale... «Con la nuova legge i cittadini possono solo ratificare la scelta delle oligarchie dei partiti ma non scegliere gli uomini da eleggere». Peggio della cosiddetta «legge truffa» del 1953? «Sì. Quella era più democratica. Bisognava prendere il 50,01% e si era liberi di scegliere le persone. Adesso c'è un premio di maggioranza e uno sbarramento molto alto. Una voce nuova che volesse entrare nella politica italiana così non potrebbe». Un esempio? «I radicali ce l'avrebbero fatta». Ma allora perché presentarsi alle elezioni? «Il terzo polo vuole aprire una strada. Iniziamo una battaglia. Le elezioni saranno il nostro congresso di nascita. L'Italia non invertirà il suo declino finché non ci sarà una forza di centro riformista che dia stabilità». Che cosa pensa della campagna in corso? «Ancora discutiamo di comunismo e fascismo in un Paese che deve affrontare le sfide del terzo millennio. Siamo ai livelli di un dibattito ottocentesco». Che succederà il 10 aprile? «Chiunque vincerà, in queste condizioni, non potrà fare autentiche scelte riformiste. Come quelle che ha fatto Blair in Inghilterra, per capirci. I due poli si candidano a vincere le elezioni ma non a governare il Paese. In Germania Schroeder poteva vincere se avesse imbarcato l'estrema sinistra e i comunisti dell'ex Rdt. Ma lui voleva governare, non soltanto trionfare alle urne». Quali sono le riforme da fare? «Innanzi tutto abbiamo un sistema di governo che si basa su troppi enti locali e una burocrazia da snellire. Un piccolo imprenditore per lavorare ha bisogno di 70 fra permessi, autorizzazioni, concessioni». Berlusconi che ha fatto per risolvere questi problemi? «Il suo governo, nato con la proposta liberale di ridurre gli apparati pubblici per far crescere l'economia, alla fine ha lasciato le cose com'erano». Ma la sinistra gli ha «regalato» un'eredità pesante, e la congiuntura internazionale è stata sfavorevole... «De Gasperi ha trasformato il Paese in cinque anni, dal '48 al '53, e non ha mai cercato di giustificarsi con l'eredità del fascismo e di una guerra persa, secondo me molto più pesante». E il centrosinistra? «È condizionato da vecchie culture. E nelle 280 pagine di programma non ci sono scelte strategiche e priorità precise. A Vicenza Prodi ha detto che riprenderanno la ricerca sul nucleare, ma non ha potuto dire se era a favore del nucleare o meno perché avrebbe perso un pezzo o l'altro dello schieramento». Insomma, che si aspetta da queste elezioni? «Credo che in Italia esista una maggioranza silenziosa ancora subordinata agli estremismi. Noi siamo come gli "straccioni di Valmy" che combatterono contro gli eserciti imperiali. Però di una cosa sono certo. Non so quando, ma presto o tardi di fronte al declino del Paese qualcuno insorgerà. E l'unica alternativa sarà un terzo polo».

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