Draghi sale, Berlusconi resiste

E l'unico che non lo vuole fare è Silvio Berlusconi. Se due giorni fa Mario Draghi era un uomo solo al comando per la carica di Governatore della Banca d'Italia, ha resistito agli ultimi assalti con il ritorno di Mario Monti e sembra lanciarsi verso Palazzo Koch. Sospinto da un ritrovato duo della politica italiana, Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini. Restano le perplessità del Cavaliere. Che teme la troppa vicinanza di Draghi a Prodi: i due assieme hanno avviato le grandi privatizzazioni italiane. O meglio, le prime privatizzazioni all'italiana, con polemiche e contestazioni incorporate. Berlusconi preferirebbe un uomo meno schierato, meno di rottura con il predecessore Fazio, più indipendente dai poteri forti. Per questo gli starebbe bene l'attuale direttore generale e reggente, Vincenzo Desario. E fa segno agli alleati di attendere. Ma il pressing si fa incessante. Casini spinge per Draghi e anche Fini s'accoda. La Lega, come sempre in queste occasioni, fa azione di disturbo: e cala l'asso di Mario Monti. Un dissenso che cova da giorni e che viene fuori all'ora di pranzo. Quando il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, durante lo scambio di auguri con la stampa parlamentare, dice chiaro e tondo che il nome del governatore dev'essere «sotto l'albero di Natale», auspicando una «celerità massima», anche per evitare il «chiacchiericcio giornalistico». Una tale fretta che spinge Casini anche a commettere una piccola gaffe, visto che il Governatore sarà scelto con la nuova riforma che ancora non ha ricevuto l'ok da parte del Parlamento. E poco più tardi anche Gianfranco Fini si spinge oltre e anche lui commettendo una piccola imprudenza. Il vicepremier afferma perentorio: «Il nome del Governatore lo sappiamo, lo so io come lo sa Berlusconi». L'opposozione la prende male, perché le parole del leader della destra danno la sensazione di una decisione già presa, sancita, senza che ci sia stata una vera e propria interlocuzione con il centrosinistra. Protesta Prodi, e a seguire un po' tutti: i Ds, Margherita e via discorrendo. Al punto che a sera, il portavoce del premier, Paolo Bonaiuti, è costretto a precisare: «Il presidente del Consiglio ha una idea che il presidente Fini conosce, che sarà confrontata con l'opposizione, e che ovviamente sarà poi discussa con il Capo dello Stato». Insomma, dietro frasi e precisazioni si nasconde un pressing di An e Udc per chiudere presto la partita. Su Draghi, si sa, c'è un accordo informale di Fassino e Rutelli. Gianni Letta li ha chiamati in questi giorni facendo intendere che nella rosa sulla quale si stava ragionando era il nome che raccoglieva maggiori consensi. E anche Prodi non è contrario, anche se non ha ricevuto telefonate ufficiali da parte del governo. E non le ha nemmeno cercate, vuole essere coinvolto solo alla fine. E Ciampi? Il Capo dello Stato certamente non è contrario. lo ha già fatto capire martedì quando Tremonti e Letta gli hanno prospettato, sempre ufficiosamente, la sua possibile nomina. E il presidente della Repubblica è difficile che possa dire di no: considera Draghi un po' un suo uomo, lo ha visto crescere, ha avuto un'assidua frequentazione. Quando l'uno era Governatore della Banca d'Italia e l'altro direttore generale del Tesoro. Ma Ciampi non vedeva male Tommaso Padoa Schioppa, anche se al Quirinale era abbastanza chiaro come Schioppa non fosse molto amato a livello internazionale, soprattutto negli ambienti finanziari Usa. Mario Monti pure aveva numerose chance, ma è stato tradito dal fatto di aver spinto troppo personalmente e in maniera scoperta per se stesso: insomma, è rimasto fregato dalla sua smania. Tra l'altro avrebbe avuto anche problemi È rimasto in panchina, per tutta la partita, Lorenzo Bini Smaghi. Altro ex direttore generale del Tesoro, conoscitore dei mercati internazionali, nel board di Bce, Bini Smaghi è stato più volte evocato ma la sua candidatura non è mai stata davvero presa in considerazione. Draghi, dunque, volendo sempre utilizzare una metafora sportiva,