A giugno si parte con la nuova previdenza

La novità principale consiste nella sostituzione del vecchio «scalone», che prevedeva un aumento secco da 35 a 40 anni di contribuzione per andare in pensione, con un emendamento che introduce a partire dal 2008 la possibilità di uscita con 35 anni di contributi e 60 anni di età. Dal 2010 l'età necessaria passerà da 60 a 61. Saranno inoltre ridotte le finestre da quattro a due. Resta fino al 2008 il sistema già previsto dalla delega per gli incentivi. Il nuovo emendamento prevede anche il principio del silenzio-assenso per il trasferimento del Tfr ai fondi pensione che, dunque, non sarà più obbligatorio, e l'elimininazione della decontribuzione per i neo assunti. Dal 2008, comunque, sarà sempre possibile andare in pensione dopo aver versato 40 anni di contributi indipendentemente dall'età anagrafica. Nel 2013 ci sarà una verifica sugli effetti della legge. La riforma avrà oggi il via libera dal Consiglio dei ministri. Il provvedimento è stato presentato in un vertice a Palazzo Chigi tra governo e parti sociali. Nonostante un ammorbidimento delle posizioni, in tarda serata i sindacati hanno confermato la contrarietà alla proposta. Fra i pochi che continuano a esprimere giudizi negativi c'è il leader della Margherita, Francesco Rutelli, nonostante la riforma si avvicini molto alla sua proposta. «Arriva il piano del governo, ma è forse la decima volta che accade e si mantiene l'iniquità dello scalone» ha dichiarato. A suo avviso, «il governo ha gettato i pensionati nella confusione». La riforma, hanno sottolineato all'unisono Fini e Tremonti, Maroni e Buttiglione, è frutto del lavoro collegiale del governo e del confronto che si è svolto con le parti sociali. «Il governo ha dimostrato di saper governare - ha dichiarato Fini -. Come già accaduto per la riforma del mercato del lavoro anche sulle pensioni il governo ha dimostrato di essere unito e garantisce la sollecita approvazione della delega in Parlamento». «Molte nuove proposte migliorative - ha osservato il ministro per le Politiche comunitarie, Buttiglione - sono venute dal dialogo con il sindacato, un metodo sul quale il governo ha insistito testardamente». Un aspetto, questo, condiviso dal collega Tremonti, che ha riconosciuto la «lungimiranza» di Fini per la «sostenibilità politica e sociale» del provvedimento e la «pazienza» del segretario generale della Cisl, Savino Pezzotta. Da parte sua, Maroni ha detto che la riforma delle pensioni si farà «molto prima di giugno». «Con la nuova proposta - ha aggiunto - il governo ha accolto molte indicazioni provenienti dal sindacato. È stato infatti deciso di stralciare la decontribuzione». «Mi sembra che oggi si sia fatto un passo in avanti importante nel dialogo sociale e nella capacità riformista del governo» ha affermato il ministro delle Politiche agricole e forestali, Gianni Alemanno, secondo il quale «questo dimostra che la collegialità in campo economico-sociale serve e funziona». Promozione, ma non a pieni voti, da parte di Confindustria. Soltanto in tarda serata, dopo una riunione, le segreterie unitarie di Cgil, Cisl e Uil hanno deciso la mobilitazione contro la riforma. Al riguardo il 10 marzo si terrà un'assemblea dei delegati delle tre confederazioni. Anche l'Ugl ha annunciato che continuerà la mobilitazione. Il sindacato - ha spiegato il leader della Cgil, Guglielmo Epifani - predisporrà «unitariamente» un documento con l'obiettivo di rimettere al centro le priorità economiche e quindi, più che la questione previdenziale, le emergenze che riguardano i giovani, i disoccupati e i pensionati. Il leader della Cisl, Savino Pezzotta, ha confermato il suo «no» all'aumento dell'età pensionabile e a una riduzione consistente della spesa sociale, pur sottolineando l'impegno del sindacato, che è riuscito a far modificare parte della delega previdenziale. Per il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, «il sindacato ha ottenuto un successo importante per quanto riguarda