Tabacci (Udc): «Ai giudici affidata una rivoluzione morale»

Lo afferma il Presidente della Commissione Attività Produttive Bruno Tabacci (Udc). Presidente Tabacci, dopo il dibattito sulla sentenza Andreotti è stata resa giustizia alla Dc? «Io credo che sia solo l'inizio. C'è da fare qualche altro passaggio. Qualcuno ha detto che non ci saremmo difesi, che i democristiani non avrebbero difeso Andreotti. La realtà è che, a parte taluni calcoli personali, fatti per opportunismo, qualcosa ha coinvolto gran parte del gruppo dirigente democristiano. Dieci anni fa, sia la difesa politica, che quella giudiziaria erano fortemente compromesse a causa del pesantissimo clima che aleggiava sul sistema politico e che trovava la sua evidenza nel cosiddetto processo sommario orchestrato dal circo mediatico. In pratica, all'avviso di garanzia corrispondeva una condanna immediata e senza replica». Come valuta l'intervento di Luciano Violante in aula? «La mia impressione è che Violante non può dire che le coincidenze tra azione della commissione Antimafia e iniziative della magistratura erano del tutto casuali oppure che in quegli anni la lotta politica è stata trasparente e che non sono stati utilizzati strumenti impropri. Ci vuole una buona dose di ipocrisia per affermare questo. Le cose sono andate diversamente». Perché il gruppo del Ppi ha abbandonato molti ex-Dc? «Perché ha prevalso la scorciatoia della discontinuità. Alcuni hanno pensato, come è avvenuto nel passaggio dalla Dc al Ppi, che bastasse affermare la discontinuità come se avessero accettato l'eredità della Dc con il beneficio di inventario. In realtà Martinazzoli e Castagnetti hanno imboccato una scorciatoia, che è stata interpretata dalla gestione presidenziale di Scalfaro. I due segretari hanno pensato che la storia della Dc andasse liquidata mantenendo in piedi una parte di quel gruppo dirigente. La lucida e cinica visione del gruppo dirigente comunista, rilanciata dal circolo mediatico, ha fatto il resto». Ora il passo successivo è la commissione su Tangentopoli? «No, io penso che non dobbiamo riscrivere i processi. Abbiamo rispettato la magistratura che pure ha operato come se gli fosse stato affidato il compito di fare una "rivoluzione morale". Questa è stata la saldatura tra la predicazione della sinistra e il modo di agire corporativo e presuntuoso di una parte della magistratura. I processi sono avvenuti, però abbiamo il diritto di riscrivere la storia. La morale del "doppio stato", dei servizi segreti deviati, delle bombe e di certe interpretazioni del terrorismo veniva addebitato al fatto che la guida del paese non era affidata al partito degli italiani, ma a quello dei mafiosi, dei ladri e degli assassini. La sinistra ha costruito così il suo modo di stare nella vita politica del paese. La sentenza Andreotti lo ha confermato. Non abbiamo chiesto che fosse la magistratura a decidere. Nel '94 è avvenuto un quasi golpe istituzionale e si è sciolto il parlamento». Cosa ci vuole? «La storia può essere riscritta con un'amnistia. Si tratta di restituire l'onore morale. La condanna dell'amministratore della Dc Severino Citaristi a 18 anni è una vergogna da sanare. L'amnistia deve mettere Citaristi in condizione di riconoscere la sua onestà. Il finanziamento illecito è stato amnistiato fino al 1989 e poi è stato utilizzato per rovesciare il sistema politico. Questa é stata una colpa grave. Violante, con il suo riferimento alla corrente andreottiana, nella relazione dell'Antimafia, ha indicato un percorso e l'onorevole Finocchiaro Fidelbo ha guidato il plotone d'esecuzione del gruppo comunista dalla giunta per le autorizzazioni. La parlamentare oggi ci rimprovera singolarmente di non esserci difesi. Ma di quegli anni non abbiamo dimenticato nulla, nemmeno il cappio leghista, la destra degli onesti e le dirette tv di Retequattro di Paolo Brosio».