Rogatorie Mediaset, l'Udc alza la voce Castelli: «Ho solo chiesto un parere». Il vice Vietti minaccia le dimissioni. Berlusconi: «Aria inquinata»

Silvio Berlusconi si chiama fuori, o almeno in pubblico preferisce non commenatare. Ma il governo rischia sulla vicenda delle rogatorie richieste dai pubblici ministeri di Milano che indagano su Mediaset. Rogatorie che sono state provvisoriamente bloccate dal ministro della Giustizia Roberto Castelli. Una decisione, quella del Guardasigilli, che ha innescato una nuova violenta polemica che oltre a contrapporre ministro e opposizione ha aperto una nuova crepa all'interno della maggioranza e dello stesso Ministero. A contestare la legittimità di bloccare anche le indagini preliminari sul caso Mediaset invocando la legge sull'immunità varata nelle scorse settimane dal Parlamento, non è stato infatti solo l'Ulivo, che è arrivato a presentare una mozione di sfiducia individuale nei confronti del ministro. Ma anche il sottosegretario alla Giustizia Michele Vietti, Udc. Che ricordando come sulla questione aveva dato assicurazioni dirette in Parlamento auspicava ci fosse un chiarimento da parte del ministro. Mettendo sul piatto in caso contrario le sue dimissioni. Ma dal ministro arrivava solo una risposta sprezzante e velenosa. «Vietti mi conosce e sa bene che ragiono con la mia testa. Per quanto riguarda poi la minaccia di dimissioni, non ho mai visto un democristiano dimettersi». Affermazione che provocava l'immediata presa di posizione dell'Udc che si schierava compattamente al fianco del sottosegretario, inducendo il segretario politico Marco Follini a convocare l'ufficio politico del partito. Al termine del quale si intimava al ministro di inoltrare le rogatori facendo addirittura balenare, in caso contrario, un possibile voto favorevole alla mozione di sfiducia. «Noi speriamo che il problema sia risolto entro lunedì - ha spiegato Follini - altrimenti il problema diventerebbe un altro». Anche il presidente della Camera Pierferdinando Casini non ha avuto dubbi nel suo giudizio. «Mi pare che il Governo fu chiaro in Aula sull'interpretazione da dare al lodo Maccanico. Sarebbe scorretto cambiare linea». Sul fronte delle opposizioni è invece arrivata la mozione di sfiducia, già ventilata in occasione delle polemiche seguite al caso Sofri. Se nella precedente occasione si decise di soprassedere per evitare un ricompattamento della maggioranza, questa volta si è valutato che la gravità dell'accaduto merita un dibattito e un voto in Aula sul modo di agire del ministro. Che ieri si è comunque difeso con decisione dicendosi pronto a presentarsi al Senato per fronteggiare le accuse. Già ieri Castelli ha voluto precisare che il polverone alzato sulla vicenda è eccessivo. «Mi sono limitato a prendere atto dell'entrata in vigore del lodo Maccanico che a mio giudizio non appare del tutto chiaro sull'ambito di applicazione. Per questo motivo ho bloccato le rogatorie chiedendo ai magistrati milanesi di valutare meglio la situazione alla luce di questa nuova legge. Per tutta risposta mi è stato risposto con toni minacciosi di inoltrare senza indugi le rogatorie». Ma a gettare acqua sul fuoco era anche Roberto Calderoli: «Castelli non ha bloccato la richiesta di rogatorie. Nell'incertezza sull'interpretazione della legge, ha solo chiesto un parere pro veritate. E ha fatto bene. Vietti ha confermato o rogatorie o dimissioni? Per me l'importante è l'interpretazione della legge e il parere che arriverà per applicarla al meglio, tutto il resto non mi interessa», conclude il coordinatore delle segreterie del Carroccio. «Le critiche nei confronti del ministro Castelli sono infondate e pretestuose», afferma Niccolò Ghedini, secondo il quale il ministro «con assoluta correttezza istituzionale si è limitato a porre un quesito giuridico sollevatogli dagli uffici, direttamente ai magistrati competenti che avrebbero potuto e dovuto risolverlo offrendo il loro contributo anzichè percorrere strade diverse al di fuori della giurisdizione».