«Non credo alla recessione, ma serve rigore»

I rischi di una guerra all'Iraq alimentano semmai dubbi di ordine politico più che economico. Va da sè, ammette Antonio D'Amato, che «il tasso di crescita, in Italia e in Europa, sarà quest'anno più basso di quello inizialmente stimato». Il presidente di Confindustria era ieri a Bruxelles per presiedere un Direttivo straordinario di Confindustria e incontrare gli europarlamentari italiani e i commissari Pedro Solbes e Mario Monti, ma non perde d'occhio l'attualità. Il termometro degli investimenti batte la fiacca, ammette D'Amato, che ha presentato un voluminoso dossier alla commissione Ue per sollecitare una serie di riforme economiche urgenti, e ora più che mai serve una maggiore determinazione da parte di tutti per cercare di rimettersi in carreggiata: «Siamo in una fase di grande incertezza nell'economia internazionale - esordisce il numero uno degli industriali italiani - determinata dal rischio della guerra. Questo non è un giudizio di merito sulla guerra, ma una considerazione sugli effetti di un possibile conflitto». «Quando c'è il rischio di una guerra gli investimenti si fermano e c'è una forte speculazione sulle valute e le commodities. In questo clima è ovvio che c'è un fortissimo rallentamento economico - ammette D'Amato -. Stiamo scontando peraltro un rallentamento che è anche in parte conseguenza di un fenomeno più strutturale dell' allentamento della bolla speculativa che post net economy». «Non credo, nè mi auguro che ci troviamo di fronte ad una recessione - ripete un fiducioso D'Amato - ma una valutazione più compiuta sarà possibile solo alla fine di questo periodo di incertezza. Nel 2003 il tasso di crescita sicuramente sarà più basso di quello stimato, non solo in Italia, ma in tutti i Paesi europei, e questo ci impone più rigore nel fare riforme strutturali in Italia e in Europa». Per questo, ha insistito ancora D'Amato durante una conferenza stampa al termine del Direttivo, «da parte nostra ci sarà sempre un forte pressing sul governo per procedere con speditezza sulla strada delle riforme che, lo ripetiamo, non vanno fatte nell'interesse delle imprese ma nell'interesse del Paese». «Sul recupero di competitività insistiamo da tempo con il governo - ha ripetuto - e prendiamo atto che alcune riforme ad avviare quel percorso di modernizzazione da noi auspicato. Il governo, penso alla riforma del mercato del lavoro e del diritto societario, si è mosso con più impegno, ma altre riforme aspettano ancora di essere varate: dal welfare alle pensioni, alle infrastrutture». È un discorso, però, che non investe solo l'Italia, ma tutta l'Europa che, ha detto D'Amato, «per troppo anni è stata al rimorchio dell'economia americana» e adesso che la locomotiva Usa ha rallentato, mostra tutti i suoi limiti: politici, decisionali, economici. «Sulla riforma del mercato del lavoro e della previdenza, che sono oggetto di discussione in Italia, in Germania, in Francia - ha ricordato D'Amato - non siamo ancora attrezzati a dare risposte. Risposte che invece vanno date anche se sono impopolari». L'obiettivo di Lisbona (più competitività e occupazione) di far diventare l'Europa una società più competitiva, ha concluso il presidente di Confindustria, «viene spesso vissuto come una sorta di petizione da parte dei governi, della commissione, dello stesso Parlamento Ue. Non ha acquisito quel valore di cogenza morale, soprattutto politica, che fu di Maastricht e dell'euro».