l'intervento
Vittorio Feltri: Roma come Milano vittime della sinistra, non si può più restare in silenzio
Vorrei poter dire che voi romani siete immuni dal declino delle grandi città. Che i maranza del Colosseo sono una leggenda metropolitana. Che i vostri mezzi sono puntuali e sgombri di borseggiatori. Che attorno alla Stazione Termini non ci sono bivacchi di disperati e chili di rifiuti da raccogliere nei sacchi ma pensiline profumate di bucato. Che il degrado del quartiere Ottavia (o affini) è un po’ più composto dell’abbandono lascivo che scorgo sotto la Madonnina, non lontano da casa mia, quando la sera mi attardo un attimo al lavoro e la macchina è costretta a fare lo slalom fra pusher e tendine ikea, montate alla bisogna nei cespugli delle piazze laterali. Vorrei, ma non posso.
Non siete benedetti. Simpatici sì, ma non ancora santi. L'anno giubilare vi ha portato quattrini, turisti e perdono divino ma non quel vivere scevro dal male che avrebbe voluto papa Francesco. Siete complicati come i milanesi. E fate i conti pure voi con la monnezza, la paura, i disservizi, l’insicurezza e - scopro oggi - pure il record di commessi.
Certo, Roma caput mundi. Tanta magnificenza avrà pure un prezzo da pagare. Ma che disastro ha fatto la sinistra al governo dei Comuni!
Gualtieri come Sala? Se lo dici al Beppe meneghino che bazzica sfilate arcobaleno e dà consigli non richiesti alla Schlein sentendosi l’eletto della compagnia - gli viene un coccolone. Si arrenda Mr Expo: siamo tutti sulla stessa barca. Vittime di due sindaci di sinistra (loro!) che seguono le mode green, le bizze dei compagnucci artisti, e le manfrine dei salotti bene che profumano di ideologia woke e non vedono al di là del loro naso. Ed è in questa presa di coscienza amara e fattuale, reati concessami dall’età avanzata e da una certa riluttanza al conformismo, che va il mio plauso sincero e totale al vostro nuovo direttore Capezzone.
Non facile ereditare un giornale già reso potente e autorevole dal suo predecessore, Tommaso Cerno, che ho il pregio di affiancare. Ma Capezzone ha raccolto il testimone facendo quello che nessuno osa più, il famoso lavoro sporco: documentando, raccontando, scrivendo.
Fiondandosi con i suoi cronisti generosi nelle strade periferiche, nei bassifondi della capitale oscura, nelle piazze svendute agli islamici, nei mercati dove gli immigrati pregano con i piedi uniti e il tappetino rivolto alla Mecca mentre la sciura del Parioli acquista il suo chilo e mezzo di carciofi.
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Si può restare indifferenti, forse. Si può pensare che è una parte della narrazione. Oppure si può cercare di capire, indagare, denunciare. Non credo che voi romani siate contenti del senzatetto che lorda di pipì l’acquasantiera della chiesetta del Santissimo Crocifisso a stazione Termini, costringendo i bimbi a scappare e un povero prete a chiudere gli accessi del luogo benedetto per l’oscenità, il degrado e la blasfemia. Non credo che vi piaccia sapere che ci sono insediamenti abusivi che spuntano come funghi prataioli. Che le moschee non autorizzate assediano e ammorbano le chiesine storiche vuote di fedeli. O che le borseggiatrici fanno man bassa di portafogli di turisti mentre i loro protettori prendono a pugni quel tale che va nei mezzanini a documentare le ruberie.
Il punto però è aver la forza di denunciare. E non assuefarsi al degrado. È vero, certi malcostumi sono vecchi come il cucco, forse come me. Ha scritto bene Luigi Bisignani in queste pagine. Fu quella donnina minuta e santa di Madre Teresa di Calcutta ad accorgersi per prima della corte dei miracoli che cresceva nei sotterranei e negli angoli oscuri di Roma. Era avvezza a raccogliere i vecchi lebbrosi di Calcutta buttati via come cenci sporchi e donava a tutti loro un bagno caldo, un sorriso, una carezza, ma si era risentita assai che nella città del papa - a un passo dalle stanze fulgide del Vaticano e dall’imperioso Giudizio universale - si consumasse il triste spettacolo della povertà ignorata. Portò dunque Andreotti nei sotterranei tremendi della città eterna, mentre l’odore di urina, muffa e dignità scemata, saliva da quei bivacchi improvvisati e diventava imperativo morale. Fu l’inizio di un progetto, ed era solo il ’78. Si è mai visto Gualtieri camminare tra quelle tende e quelle vite amare? Sinceramente non lo so, lo domando a voi. Forse mi sbaglio ma io non ho mai veduto il nostro Sala avanzare tra i miserabili della notte, nei sottopassi della stazione centrale che brulicano di tossici strafatti di coca a buon mercato, o nei mezzanini del metrò, tra i maranza che berciano contro i ragazzini e poi li sfiniscono di botte per 10 euro o una collanina di latta.
Il problema è che se non denunci, se non urli, se non scrivi, se non documenti, come sta facendo Il Tempo, come dovremmo fare tutti, non si muove foglia. Lo dico anche come monito personale. Amo profondamente Milano ma qui da noi è una disfatta. Siamo assuefatti all’avanzata straniera, al malcostume, al degrado, alle ruberie di strada e alla mancata integrazione. Ci sono quartierini milanesi dove certe mattine risuona il canto del muezzin e le donne vanno velate da capo a piedi. Altri dove i bimbi rom scorrazzano nelle pozzanghere rese putride dall’incuria. Altri ancora dove non si può camminare la sera per paura di essere aggrediti.
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Persino il Natale - festa che mi riesce indigesta per la glassa oscena che trasuda dai visi e dai panettoni - sta schiantandosi nelle scuole della Brianza sotto i colpi del politicamente corretto. Hanno bandito Gesù dai canti, l’hanno messo in panchina. Fra poco fischierà l’arbitro ed entrerà Maometto.
Povera Madonnina, tutta d’oro e piscinina, che se ne sta in cima al duomo a vegliare sulla città. Si è accorta che cento metri sotto di lei i maranza fanno la ola, gridando Allah Akbar. Ma non può scendere certo da quelle altezze per dire la sua e bilanciare la partita. Milano però è un’altra storia. Voi siete la capitale. Caput mundi e un po’ Roma capoccia, e stare zitti non si può più.