sempre connessi

Vaia e il mondo post-Covid: contro la violenza giovanile va valorizzata la socialità

Francesco Vaia e Antonio Maturo - Direttore Istituto Spallanzani, Roma, Docente di Sociologia Università di Bologna

La violenza, soprattutto quella giovanile è in aumento. Non è un’impressione e non è solo sensazionalismo dei media. Il Covid, anche in questo, fa da spartiacque. Da prima del Covid a oggi, cioè dal confronto tra il 2019 e il 2022, si evince che omicidi, rapine, tentati omicidi e percosse hanno avuto tutti un aumento a due cifre. Rispetto al 2019, inoltre, ci sono quasi un 15% di minorenni denunciati in più. Gli episodi di violenza da branco sono una novità degli ultimi anni, almeno nella loro frequenza. I vari lockdown possono essere stati una causa? In un certo senso sicuramente sì. Terminate o comunque mitigate le misure necessarie di contenimento del Covid è come se fosse saltato un tappo che ha lasciato fuoriuscire una sorta di violenza troppo a lungo compressa. La fuoriuscita dalla pandemia, dalla paura della malattia e del contagio, e dalle limitazioni che tutto questo ha comportato, ha lasciato tracce profonde e un disagio psicologico diffuso. Questa spiegazione ha probabilmente alcune parti di verità, ma vi sono anche altri aspetti da evidenziare, soprattutto quando parliamo di giovani.

 

 

Un’utile chiave interpretativa è il concetto di «On Life» proposto dal filosofo italiano Luciano Floridi, docente a Yale. Questo termine è un ibrido tra on line e off line, evidentemente. Dice Floridi infatti che oggi questa distinzione è meno netta. Viviamo spesso contemporaneamente in entrambe le dimensioni. Chattiamo quando siamo in compagnia, facciamo foto e postiamo mentre camminiamo, sul lavoro parliamo con i colleghi mentre rispondiamo alle mail. Siamo costantemente connessi, sempre più sospesi tra virtuale e reale. Ci vuole molto equilibrio per padroneggiare questa trasformazione della nostra vita. Probabilmente alcuni giovani sono eccessivamente sbilanciati verso l’on line. Durante il Covid abbiamo utilizzato il digitale in modo massiccio e un po’ la nostra percezione della realtà ne è stata modificata. L’eccesso di digitale per alcuni può avere un effetto di spaesamento e delusione per la vita reale. Inoltre le persone non sono avatar, se le colpisci riportano ferite, o addirittura muoiono. Le corse in auto ci sono sempre state ma la tragedia della Nomentana, a Roma, nella quale un testimone ha riportato che «giocavano alla Formula 1», non ci fa venire in mente un videogioco? Solo che le conseguenze sono state nefaste, con cinque giovanissimi che hanno perso la vita.

 

 

Altrettanto è avvenuto ad Anagnina, sempre a Roma, dove due giovanissimi hanno massacrato un gestore di market colpendolo ripetutamente con una pietra. Contemporaneamente un gioco del proprio avatar ma, anche, l’esigenza spasmodica di soddisfare, qui e subito, un bisogno incoercibile di soldi per procurarsi l’effimero piacere. Non vi sono soluzioni né immediate né miracolose dietro l’angolo, ma certamente una forte attenzione alla scuola e alle famiglie può invertire la tendenza. Un percorso lungo che recuperi anni di disattenzione su questi due temi cruciali, tra l’altro molto percepiti nel corso della pandemia. Anche noi stessi possiamo e dobbiamo fare la nostra parte. Una recente ricerca fatta nel Dipartimento di Psicologia della British Columbia dimostra come parlare con gli sconosciuti aumenti la propria felicità. L’esercizio della socialità e i piccoli gesti possono contribuire a ricreare coesione sociale.