Il commento
I funerali di Papa Francesco il primo vero summit del Trump 2.0
Alla fine, il Papa più critico verso l’America, il Pontefice che più di ogni altro ha preso le distanze dal trumpismo, sarà proprio colui che offre a Donald Trump l’occasione più simbolica per riprendersi la guida dell’Occidente, messa in discussione da settimane (ma non le ultime due) di dichiarazioni incendiarie. Il funerale di Papa Francesco diventa così un evento non solo religioso ma anche geopolitico (in verità è così da sempre). E Trump, dopo qualche ora d’incertezza, decide di esserci.
A Roma ci saranno tutti, o quasi: capi di Stato, monarchi, leader religiosi, premier e ministri da ogni angolo del globo. Un G7 politico e spirituale allargato, un palcoscenico dove i protagonisti della storia si presenteranno con il loro abito migliore. Ma tra tutti, l’osservato speciale sarà lui, Donald J. Trump, tornato alla Casa Bianca e (forse) pronto a giocare la sua partita europea. Insomma, il funerale di Bergoglio diventa il primo vero summit internazionale dell’era Trump 2.0. Il gesto è potente. E meditato. Trump non è mai stato particolarmente vicino a Francesco (diciamo così per educazione): lo ha tollerato, criticato, persino ignorato nei momenti più tesi. Atteggiamento ampiamente ricambiato dal gesuita argentino dall’aria "rotonda" ma pronto alla frase tagliente. Ma ora che il Pontefice non c’è più, il Presidente americano coglie l’occasione per voltare pagina. Non si tratta solo di rendere omaggio al capo della Chiesa cattolica (memo per tutti: i cattolici americani hanno votato in maggioranza per Trump), ma di segnare un punto politico: l’America c’è, e il suo leader è pronto a incontrare il mondo (senza fare la guerra a tutti).
Roma è oggi una tappa amica per Trump. Il governo Meloni è tra i più vicini alla sua visione internazionale, e non è un caso che proprio in questi giorni J.D. Vance, uomo-ponte con l’Europa conservatrice, sia arrivato nella Capitale. Così la presenza del Presidente americano assume un doppio significato: è un gesto di cordoglio, certo, ma anche una mano tesa all’Europa, un segnale distensivo dopo mesi di tensioni su difesa, Ucraina e dossier energetico. E poi ci sono i bilaterali. Ufficialmente è un viaggio per i funerali, ma nei corridoi del Quirinale, a Palazzo Chigi e forse perfino in qualche ambasciata araba si muove già qualcosa.
La presenza a Roma di tanti leader offre a Trump un’occasione irripetibile per colloqui strategici. Iran, Ucraina, Israele, NATO. Il paradosso è servito. Papa Francesco, l’uomo della pace e del dialogo globale, finisce per fare un favore a Donald Trump, il Presidente più divisivo degli ultimi decenni. Ma la storia funziona così: mischia i simboli con le strategie, le cerimonie con i messaggi. E stavolta il messaggio è chiaro. L’Occidente ha bisogno di una guida visibile, forte, presente. Ruolo che, per evidenti ragioni, spetta all’inquilino della Casa Bianca. Anche perché c’è un nuovo Papa da eleggere e i cardinali americani contano eccome. Bush junior lì riunì a Villa Taverna, nei giorni dei funerali di Giovanni