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Sanremo, la vera noia sono le critiche

Tommaso Cerno

In principio fu il sovranismo. Sanremo doveva essere per la pseudo intellighenzia di sinistra l’archetipo del neo fascismo meloniano in salsa canora. E lì ci aveva provato Roberto Saviano a candidarsi a guru della nuova opposizione che anziché occuparsi di politica, di lavoro, delle indagini che colpiscono i suoi dirigenti, di immigrati clandestini, di attentati islamisti si sarebbe occupata di pentagramma, arrangiamenti, melodie. Poi si è presentato sul palco tale Roberto Benigni, praticamente la loro icona, colui da cui discende il loro stesso karma progressista e hanno dovuto tacere.

 

 

 

E così è partita la controffensiva radical chic, quella della teoria della noia, la rassegnazione, la noluntas di Schopenauer. A dirci che il Festival in pratica non c’è stato e quei tredici milioni di italiani che l’hanno guardato sono tredici milioni di idioti. Il tutto mentre i loro paladini europei Scholz e Macron si fanno ridere da tutto il mondo fingendo dopo due anni di accorgersi che in Ucraina c’è una guerra. Un esempio di rassegnazione e di noluntas ben più grave del Sanremo di Conti.
Che rispetto allo stato in cui versa l’Ue sembra un rivoluzionario in ottima salute.