il commento

Pd, sulle intercettazioni i Democratici hanno perso la memoria

Riccardo Mazzoni

Intercettare le comunicazioni è un vulnus oggettivo alle nostre libertà costituzionalmente garantite, una facoltà accordata alla magistratura in omaggio a un valore ritenuto superiore, ossia l’accertamento di eventuali reati di grave pericolosità sociale, ma questo non significa autorizzare il perverso meccanismo mediatico-giudiziario che ha portato alla pubblicazione indiscriminata di fatti personali del tutto irrilevanti dal punto di vista penale.

È fuori discussione che il problema esista, e in più occasioni se lo è posto anche la sinistra, tanto che nel 2017 fu approvata la riforma Orlando, una legge però di fatto inapplicata, visto che il malcostume è proseguito senza soluzione di continuità. Un anno prima c’era stata anche una sentenza della Corte di giustizia europea secondo cui la violazione della privacy è autorizzata soltanto «allo scopo di contrastare gravi forme di criminalità o di prevenire gravi minacce alla sicurezza pubblica», ed è esattamente questo il solco in cui intende muoversi il ministro Nordio, contro il quale Pd e Cinque Stelle - con il sostegno militante e martellante dei giornali d’area – hanno aperto una durissima battaglia ideologica, come se fosse in preparazione un attentato alla libertà di stampa. In queste settimane c’è stato un crescendo di allarmi e di indignazione tutto teso a far dimenticare le sistematiche violazioni operate attraverso le troppe veline veicolate da certe procure a certi quotidiani. Abbiamo letto del «sentore di impostura nell’ultimo bengala sparato in aria dal governo, ovvero la minaccia di una nuova legge bavaglio per impedire la pubblicazione delle intercettazioni», oppure di «maldestri tentativi di controllo sul mondo delle procure e dei giornalisti per condizionare il loro lavoro limitandone gli ambiti».

Una delle bordate più forti è partita dal Pd: «Troppa voglia di bavaglio all’informazione. Non solo Nordio, ma queste destre al potere puntano a colpire indipendenza della magistratura, lotta a corruzione e diritto di cronaca e inchiesta. Troveranno il muro dell’Italia perbene». Ebbene, ancora una volta ai piani alti del Nazareno non hanno perso l’occasione di schierarsi sul fronte giustizialista, confermando la masochistica propensione non solo a seguire le parole d’ordine grilline, ma perfino a smentire sé stessi. Fu proprio il Pd, infatti, a proposito di bavaglio alla stampa, a presentare nel 2011 una legge per dare «impulso all'aggiornamento del codice deontologico dei giornalisti» e creare «il giusto equilibrio tra diritto all'informazione e diritto alla privacy in tema di intercettazioni».

Anche allora il caso intercettazioni era al centro del dibattito politico, e il Pd tentò di prendere le distanze dalla linea del centrodestra con una proposta all’insegna del «ma anche»: l'esercizio dell'informazione è «sacrosanto e non si vuole limitare», ma bisogna evitare che «siano danneggiate terze persone coinvolte senza rilevanza alcuna, cittadini estranei ai fatti che vengono stritolati dal racconto pubblico di vicende delle quali sono semplici comparse».

L’obiettivo dichiarato era anche quello di «spezzare il circuito perverso di una competizione al ribasso tra le diverse testate giornalistiche, alla ricerca del particolare piccante che faccia vendere una copia o guadagnare qualche telespettatore in più». La legge rendeva cogente un aggiornamento del Codice deontologico dei giornalisti, prevedendo una forma di collaborazione tra l'Ordine e il Garante per la privacy, e se l’Ordine non avesse provveduto a definire entro tre mesi le modifiche per disciplinare la pubblicazione delle intercettazioni, sarebbe intervenuto il Garante.

Insomma: il problema delle intercettazioni carpite e pubblicate avrebbe dovuto essere superato attraverso un meccanismo di autodisciplina, con una sorta di improbabile autobavaglio. La proposta era chiaramente demagogica, ma era anche l’ammissione che un freno al mercato nero delle intercettazioni era necessario. Cosa che oggi il Pd evidentemente, more solito, rinnega.