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Pacifisti, il 4 novembre è una data che non si tocca

Riccardo Mazzoni

Il mondo del pacifismo aspetta l’insediamento del governo di centrodestra per manifestare contro la guerra, evitando accuratamente di distinguere tra chi l’ha provocata e chi la subisce. È stato Conte a mettere il cappello sulle pulsioni antioccidentali e filo-putiniane che imperversano sul web per portarle in piazza con tutti i rischi del caso, perché l’esperienza insegna che queste mobilitazioni sono l’acqua ideale in cui nuotano le frange estremiste. Manifestare è ovviamente un diritto che va sempre tutelato, ma è altrettanto lecito rimarcare la direzione strabica che l’avvocato del popolo ha voluto indicare al movimento arcobaleno che si sta riformando mettendo insieme Acli, Arci, Anpi e altre sigle da sempre contrarie agli Stati Uniti e alla Nato. Non a caso Conte, nonostante giuri di essere d’accordo con la linea di condanna a Mosca, nel suo appello per la pace non ha mai citato le colpe di Putin puntando invece il dito contro l’Europa «totalmente appiattita su una strategia anglo-americana» e deplorando «l’ossessione di una ipotetica vittoria militare sulla Russia». Basta del resto scorrere i titoli di apertura di Avvenire e del Fatto Quotidiano per avere un’idea precisa dell’aria che tira da quelle parti: «Ue, terrore atomico ma invia altre armi», e «L’Europa boccia la pace. Conte: uniti in piazza». Insomma: a non volere la pace non è il Cremlino che minaccia l’uso dell’atomica, ma il fronte che si oppone a un’invasione criminale e illegittima.

Ma il colmo è che la «Rete italiana pace e disarmo» ha proposto la data del 4 novembre per manifestare: sarebbe un’autentica provocazione, visto che coincide con la Festa delle Forze Armate, considerato dai pacifisti «un giorno di lutto». Ora, lasciamo perdere il dettaglio che i governi Conte sono quelli che hanno aumentato in misura maggiore le spese militari, perché la coerenza non è mai stata la cifra politica di un MoVimento che nell’ultima legislatura è diventato un camaleonte pronto a recitare tutti i ruoli in commedia. L’ultima frontiera è il richiamo alla piazza cavalcando l’antimilitarismo a senso unico, e in questo senso c’è un precedente che vale la pena ricordare: il due giugno del 2019, quando la ministra Trenta – grillina - volle ridurre la parata dei Fori Imperiali a una specie di marcia pacifista arcobaleno, e ci fu la protesta pacifica di tre generali che, disertandola, ricordarono che sono le Forze Armate, e non disarmate, a conservare la pace.

Il 4 novembre le nostre Forze Armate, fiore all’occhiello del Paese per lealtà e professionalità, sfilano come garanzia di difesa dei valori democratici e come simbolo dell’unità nazionale, oltre che del loro impegno a rappresentare l’Italia nelle missioni internazionali. Nell’ultimo quarto di secolo hanno preso parte a oltre 130 missioni militari all'estero in ambito Nato, Ue e Onu, offrendo un contributo importante agli sforzi della comunità internazionale per promuovere la pace e la sicurezza collettiva, e questo sforzo diventa ancora più necessario oggi, nel momento in cui la crisi geopolitica ha portato la guerra nel cuore d’Europa. Assicurare il nostro apporto alle missioni internazionali e sostenere anche militarmente l’Ucraina aggredita è un’azione a tutela del nostro interesse nazionale. Ma mentre i caccia italiani si sono alzati in volo per intercettare quattro aerei russi che avevano violato gli spazi aerei polacco e svedese, il pacifismo non trova di meglio che protestare contro l’alleanza militare impegnata a contrastare l’espansionismo imperiale russo. C’è un paraocchi ideologico che porta a ragionamenti del tipo «continuare ad inviare armi pensando che si possa arrivare ad una vittoria militare sulla Russia rischia di portarci a un’escalation nucleare», o, peggio, «non me ne frega niente di un pezzo di terra che sia o diventi di proprietà di un qualsiasi Paese». Come se in quel pezzo di terra chiamato Ucraina non ci fossero in gioco libertà, democrazia, milioni di vite umane e il rispetto del diritto internazionale. Aspettiamo dunque di vederli all’opera questi pacifisti, e speriamo di non dover riascoltare il macabro e rivoltante refrain di tante passate manifestazioni arcobaleno: «Dieci, cento, mille Nassiriya».