il commento

Crisi economica, la famiglia è ancora il pilastro che sostiene il Paese

Gianluigi Paragone

Non è solo che vai a mangiare una carbonara - e che carbonara - a Torino. É che la storia che vi racconto è una storia che rimette in ordine le crisi che raccontiamo. Dà un volto, un nome. Quando si parla di crisi dei ristoratori, le bollette da pagare, di rapporti burrascosi con le banche, insomma di tutto quello che ben sappiamo e che purtroppo saremo ancora costretti a raccontare, il rischio è quello di fare volume. E di perdere di vista le storie. Storie che magari riannodano altre storie e via di questo passo.

Vi racconto Danilo perché il giornalismo vive di storie da raccontare. Specie quando ti capitano tra le mani e ti viene quel prurito che ti devi mettere giù a scrivere. Lo incontro ai Du’ Cesari, il suo ristorante in corso Regina; lo incontro sul tardi (e abituare i torinesi al secondo turno è già…romano). Lo avevo notato in tv e - lo ammetto - mi aveva colpito. Un omone sorridente, tatuato, con occhialoni, fortissimo accento romano a Torino. La giusta rabbia della categoria. E poi quel cognome che appaiato col nome fa molto personaggio romano: Danilo Pelliccia. «Lo devi conoscere», mi dicono. «Ha una storia incredibile».

In questi mesi lunghi di pandemia ho incrociato tante storie. Antonio della Filetteria a Sassuolo con cui ho condiviso la prima ribellione. L’Osteria del Sole a Bologna con Nicola che si apre in sorrisi prima ancora di aprire una bottiglia. E poi Paolo Bianchini e la banda di Mio. Quanta gente mi ha messo sul tavolo le bollette, gli affitti, le rate, la diffidenza di chi crede che si siano arricchiti prima «quindi ora facciano un po’ di mea culpa». E poi il guaio di non trovare chi lavora in sala. «Tutti chef stellati. Arrivano e sanno già tutto. Per non dire di chi considera umiliante lavorare in sala: chi non sa raccontare un piatto, blocca la cucina. La creazione in cucina è un racconto continuo», mi dice sempre Bianchini. Danilo, però, è altro ancora. Perché Danilo il tonfo lo fa prima della crisi, e lo ha fatto grosso. E non si vergogna a dirlo. Perché quando poi torni a riempiere le sale, con cucina romana a Torino, e fai girare i tavoli due volte, è ancora più bello ripensare a come ci sei riuscito. Aiutare gli altri diventa un moltiplicatore, tanto che nel suo Du’ Cesari si serve la solidarietà di Made in Carcere, un progetto di Luciana Delle Donne, dove la manifattura esce dalle sbarre e diventa un codice a barre di notevole pregio realizzata nelle carceri femminili. Danilo mette in cucina anche quell’esperienza lì e diventa chef ambassador di Made in carcere.

I Du’ Cesari è il punto d’incontro di tanti romani in trasferta. Gianmarco Tognazzi ci ha portato finanche il vino de La Tognazza. Che ci fai qui?, gli domando. «Per amore. Lascio Roma, mi innamoro e apro un bar dove poco alla volta ci infilo i sapori della mia regione: tutto in un tagliere. Sembrava che andasse tutto bene. Sbagliai: l’amore non seguì il successo del Bar Nazionale. E siccome le cose poi prendono strane pieghe…sul tagliere ci sono finito io». Già, perché se è vero che in Italia aprire un’attività è di per sé una impresa, chiuderla è un’odissea.

Quelli come Danilo lo sanno bene, qualcuno lo racconta; i più no. Ma Danilo non ha paura a dirti com’è fredda la notte quando non sai dove dormire, o a spiegarti cosa succede nella pancia e nella testa quando non pensi ad altro che ai debiti e ai finanziamenti per pagare i debiti. Danilo non nasconde che anche i giganti mordono le labbra per fermare la tristezza. E quindi? «E quindi da solo non ti rialzi. Senza mia sorella Simona non sarei riuscito a rialzarmi». Altro pezzo di storia delle imprese italiane: la sorella col posto fisso che alla fine molla tutto e si mette a seguire lo stesso sogno e rialzarsi quando si inciampa ancora. Fino a giocarsi tutto, ma proprio tutto, in quel ristorante dove si mangia romano perché la mamma aveva recuperato le antiche ricette della nonna e il papà insegnato come si tratta coi fornitori. Danilo ai fornelli e Simona in sala non potevano sbagliare. Perché c’era una famiglia da incoronare con l’alloro dei Cesari. «Non giudichiamo e non cerchiamo colpevoli ma solo compagni di viaggio», dicono riprendendo la loro esperienza al servizio di Made in Carcere. Danilo è una storia della ristorazione sana, che gira attorno alla cucina e va a tavola, spinta da quel motore che ha creato il miracolo italiano: la famiglia.