La sagra della demagogia

I buoni populisti

Marcello Veneziani

Venite, siori, venite, ottanta euro al mese pure per le famiglie con figli. E io, ma va mi rovino, mille euro al mese di pensioni minime. Ammazza, e questi sarebbero gli statisti che si presentano come argini al populismo. Ditemi la differenza tra queste proposte e il reddito di cittadinanza dei grillini. E ditemi in cosa differisce il loro piazzismo dalla demagogia dei populisti in campo. Siamo alla sagra del carciofo elettorale e gli imbonitori gridano dai loro palchi: paghi uno e prendi due, vota me e porterai a casa soldi, bonus e tanta felicità. E questi sarebbero gli antidoti al populismo, quelli che ci fanno restare in Europa, quelli che ci garantirebbero la modernità progressista o la rivoluzione liberale. E questi sarebbero i cavalli su cui sta puntando la Grande Stampa per fermare i grillini e i salvini più le rinate destre meloniane e le residue sinistre bersaniane. Possibile che non si riesca a trovare una decente via di mezzo tra la governance punitiva dei tecnici, che era un continuo minacciare sacrifici umani sui Monti di Pietà europea; e la demagogia di chi promette una crescita esponenziale del debito pubblico per compiacere il gentile pubblico? Trovo avvilente l'avvio della campagna elettorale. Sia per questa gara da sagra paesana a chi le spara più grosse e le promette più belle, sia perché stiamo ancora in balia della politica-selfie che esaurisce le idee, i contenuti, i programmi nelle facce dei loro leader, ammesso che abbiano una vera faccia, non equivalente alle loro terga. Abbiamo fame di vedere un serio progetto Italia non per i prossimi giorni ma per i prossimi anni. Abbiamo fame di vedere affermati diritti e doveri, compiti e responsabilità per un paese allo sbando. E abbiamo fame di vedere una vera classe dirigente che si presenta al cospetto degli elettori attraverso la qualità, la competenza, e vorrei quasi dire l' assenza di visibilità, di facce faccioni faccine sfacciate. Il punto toccato dalla politica italiana può essere ben riassunto dal dilemma-referendum che travaglia la sinistra italiana: meglio Di Maio o Berlusconi? A cosa si è ridotta la sinistra, se l'alternativa per loro è tra un grillino non sinistrorso, che vuol fare il premier avendo fatto la maschera allo stadio san Paolo di Napoli (certo, è la naturale evoluzione, così come al Quirinale mandiamoci un ex-raccattapalle, per chiudere il cerchio e toccare l' ultimo stadio). E dall'altra il malefico, diabolico Berlusconi, ritenuto per anni a sinistra il Principe delle Tenebre, del Porcile e del Malaffare, disprezzato e avversato con ogni mezzo. Con la benedizione finale del vice Papa ateo, Sua Santità Eugenio Scalfari dopo un ventennio di messe nere. In questo paradosso c' è un problema vero: la crisi di rigetto verso Matteo Renzi. La gente non regge più il suo repertorio ormai risaputo, le sue gag, le sue tecniche narrative, le sue polemiche che partono sempre da «se qualcuno». La sinistra non lo ha mai amato ma prima aveva l' alibi di essere vincente, e allora l' alternativa era perdere con Bersani (o equivalenti) oppure vincere ma con Renzi. Ora che Renzi parte terzo in campagna elettorale, dopo i sullodati Di Maio e Berlusconi, non è solo antipatico e arrogante, per la sinistra, ma si è fatto pure perdente. Da qui l' avvilente alternativa tra grilli ni e berlù se non si vuole finire a piangere col cimitero degli elefanti mdp. Un partito sbagliato già nella sigla, che sembra essere quella nefasta del Monte dei Paschi, (in versione nazionale perde la esse di Siena e di sinistra). Cresce la sensazione di vivere un declino inarrestabile della politica che porta con sé nel suo abbraccio mortale la decadenza della democrazia. Il populismo, cari signori, non è il pericolo per la nostra democrazia ma è la risposta - inadeguata, concordo - alla democrazia in pericolo. Non è la malattia che corrode la democrazia, ma la reazione (insufficiente, riconcordo) alla demo crazia malata. Il fatto è che non ci sono vie di scampo. Per disperazione si arriva a rivalutare la «sobrietà» di Gentiloni, il nazional-populismo più soft della Meloni, il realismo ragionevole di alcuni centrini rispetto allo scenario che si presenta davanti, coi quattro leader populisti che si rincorrono a suon di proclami: due presentandosi apertamente con la faccia populista e gli altri due, paradossalmente, presentandosi come l' antitesi al populismo e poi praticando un populismo ancora più smaccato, piazzaiolo e avvilente. Ma per i media, il loro sarebbe il populismo buono come il colesterolo buono...