SCONTRO

Il Mes fa litigare la maggioranza: i 5 Stelle insorgono, a Pd e Renzi va bene

Alessandro Austini

Adesso c’è la conferma dell’Eurogruppo: il Mes, per dirla con le parole di Roberto Gualtieri, «potrà offrire finanziamenti per il 2% del Pil a tasso quasi zero per spese sanitarie e di prevenzione dirette e indirette legate al CoVid-19». La Commissione, sentenzia il ministro dell’Economia dopo la riunione con i suoi omologhi, «verificherà solo questo requisito. Non potranno essere introdotte condizioni aggiuntive». L’accordo raggiunto dai ministri delle finanze Ue, però, spacca ancora una volta la maggioranza. Luigi Di Maio è il primo a ribadire il suo no. «Si parla di circa 30 miliardi del Mes per l’Italia, ma noi stiamo lavorando su un accordo per il Recovery Fund che vale tra i 1.500 e 2.000 miliardi. Quindi - argomenta - se ci sarà un poderoso Recovery Fund, non ci sarà bisogno di nessun altro strumento». A ribadire la linea è una nota firmata M5S: «Sebbene debolmente migliorato, resta uno strumento inadeguato per rispondere all’emergenza che stiamo attraversando - si legge - sia per la quantità di risorse che può mettere in campo, sia perché continua a essere insidioso nelle potenziali condizionalità future, sulle quali non sono stati ancora fugati tutti i dubbi». Di più: «Annunciare che l’Italia userà il MES è una fuga in avanti - mettono nero su bianco i pentastellati - che non condividiamo». Su posizioni diametralmente opposte Nicola Zingaretti che definisce la linea di credito «una grande opportunità per l’Italia». Il segretario dem cerca di riportare il dibattito su un piano concreto, evitando di finire nel classico battibecco ideologico: «37 miliardi per ospedali, assunzione di medici infermieri, personale, investimenti per nuovi farmaci e cure. Costruiamo un grande piano con le Regioni per la rinascita italiana e per migliorare la vita delle persone», dice. Anche Matteo Renzi è da sempre favorevole all’utilizzo delle risorse: «Sono soldi che ci servono, prendiamo tutto», è la linea e la esplicita a suo modo il capogruppo di Iv al Senato Davide Faraone: «Chiunque pensi che pur di fare la solita lagna sovranista bisogna rifiutare il Mes come il male assoluto è un irresponsabile nella migliore delle ipotesi , nella peggiore un pazzo. Denuncerò il governo per danno erariale se non dovesse utilizzare i fondi del Mes. Rinunciare per la stolta ideologia a risorse per la sanità è folle», attacca. A mediare dovrà essere ancora una volta Giuseppe Conte. Il premier resta prudente e, partecipando in videoconferenza ai lavori di "The State of the Union" ribadisce la sua linea. La sfida «cruciale» resta quella «di tradurre in realtà» il segnale politico sul "Recovery Fund", «prima che sia troppo tardi». Per il presidente del Consiglio italiano, infatti, le misure fin qui messe in campo, quali Sure, Bei e - per l’appunto - Mes «sono insufficienti». Il prestito effettivo del Recovery Fund sui mercati (distinto dalle risorse totali che esso mobilita) «dev’essere di notevole dimensione, almeno 1 trilione di euro», spiega. In ogni caso sarà solo dopo il prossimo vertice dei capi di stato o di governo degli Stati membri dell’eurozona che il pacchetto sarà approvato definitivamente e, solo allora, il Governo dovrà decidere quali strumenti utilizzare. Conte ha sempre detto che sarà il Parlamento ad avere l’ultima parola e non ha cambiato idea. Intanto, da Lega e Fratelli d’Italia arrivano gli attacchi di sempre. «Il Mes non è un regalo, sono soldi dati in prestito, da restituire a precise condizioni scelte a Bruxelles e non in Italia. La Lega (insieme a tanti economisti italiani) continua a ritenere quella del MES una strada pericolosa e priva di certezze», ribadisce Matteo Salvini. «Le condizioni ci saranno - gli fa eco Giorgia Meloni - La trappola per topi si sta facendo più raffinata, ma temo rimanga una trappola per topi». Diversa, come dalle premesse, la posizione di FI. «Il Mes senza condizioni è un’opportunità per investire in sanità, sicurezza e lavoro. Ma, per propaganda, il M5S continua a dire no, mentre il Pd dice sì. Si voti in Parlamento per legittimare la decisione dell’Italia e verificare l’orientamento del governo», cinguetta Mara Carfagna. Se si realizzerà quella "coalizione Ursula" lanciata da Romano Prodi è decisamente presto per dirlo.