VERSO IL REFERENDUM

Così la riforma costituzionale aumenta gli stipendi dei politici

Alberto Di Majo e Carlantonio Solimene

Stipendi più alti per i consiglieri di cinque Regioni. Rischia di essere questo l’esito più controverso della riforma costituzionale che il 4 dicembre affronterà il verdetto popolare. Il nodo sta nell’articolo 35 del ddl Boschi, quello che si occupa dei «Limiti agli emolumenti dei componenti degli organi regionali» e che modifica l’articolo 122 della Costituzione. Nel testo è stabilito che gli «emolumenti» dei consiglieri regionali «sono disciplinati con legge della Regione (...) nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione». In apparenza sembrerebbe un duro colpo alla «Casta»: le buste paga dei consiglieri regionali sono normalmente assai più pesanti di quelle dei primi cittadini. Ma la vaghezza della norma rischia di prestarsi a un’interpretazione diversa. Cosa si intende, innanzitutto, per «emolumenti»? L’intera busta paga, comprensiva di indennità e rimborsi vari, o solo la parte «fissa» della retribuzione? Se a prevalere fosse questa seconda versione, i consiglieri regionali di Lazio, Lombardia, Campania, Piemonte ed Emilia Romagna potrebbero stappare bottiglie di champagne. Il loro stipendio verrebbe addirittura ritoccato verso l’alto. Per verificarlo basta confrontare alcuni dati. Un consigliere regionale della Lombardia porta a casa ogni mese 6.327 euro lordi di indennità oltre a 4.218 euro netti di rimborsi forfettari. In tutto si avvicina ai 7.000 netti. Il sindaco di Milano, invece, incassa 7.800 euro lordi al mese, come tutti i primi cittadini dei Comuni con oltre 500mila abitanti. In pratica, il consigliere regionale si vedrebbe aumentare l’indennità di circa 1.500 euro lordi che, aggiunti ai rimborsi forfettari, porterebbero la sua busta paga mensile a 7.800 euro netti. Circa 800 in più di quanto percepisce ora. A giovare della riforma sarebbero anche i consiglieri regionali del Lazio (da 7.300 a 7.400 euro netti), quelli del Piemonte (da 6.000 a 7.400 euro netti), della Campania (da 7.800 a 8.400 netti) e dell’Emilia (da 4.800 a 5.200 netti). Sono le Regioni che vantano i capoluoghi più popolosi. Viceversa, a essere penalizzati dalla riforma saranno, ad esempio, i consiglieri abruzzesi, che vedranno la loro indennità uniformata a quella del sindaco della «piccola» L’Aquila: da 6.600 a 4.131,66 euro (lordi). Certo, per evitare che una riforma che dovrebbe abbattere i costi della macchina amministrativa finisca con l’aumentarli nelle regioni più popolose, basterebbe che nei decreti attuativi fosse specificato meglio cosa si intende per «emolumenti». Se, infatti, questi comprendessero anche i rimborsi l’effetto sarebbe una riduzione per tutti i consiglieri regionali del Paese, senza creare enti di «serie A» ed enti di «serie B». Ma anche da questo punto di vista la strada per i riformatori rischia di presentarsi in salita. Tra i banchi delle Regioni, infatti, si preparano le barricate. «Perché io devo rinunciare ai rimborsi se il sindaco di Roma ha la carta di credito con plafond illimitato?» si chiede un consigliere del Lazio che invoca l’anonimato. La scrittura dei decreti attuativi sarà insomma un terreno minato. In fondo, non c’è niente di nuovo. Basti pensare che pure la «vecchia» Costituzione, dopo 70 anni, attende ancora di vedere applicate alcune sue parti. Da chiarire, ad esempio, ci sarebbe il destino delle «indennità di funzione» (ricevute dai consiglieri che ricoprono cariche come assessore o capogruppo) o il modo in cui la riforma inciderà sulle Regioni a statuto speciale. Però è proprio in enti come il Trentino Alto Adige che si annidano i maggiori privilegi. Qui i fortunati consiglieri vantano un’indennità lorda di quasi diecimila euro, a cui aggiungere 700 euro di rimborsi. Un record. Con l’occasione, si potrebbe fare chiarezza sugli stipendi dei sindaci. Un’altra vera e propria giungla di numeri in cui è difficile orientarsi. Apparentemente a disciplinare le indennità è il DM 119/2000, che differisce le retribuzioni a seconda della popolazione delle città. Nell’ultima «Guida per amministratori locali» redatta dall’Anci, però, la stessa ripartizione viene esposta in maniera più ambigua. Secondo la tabella allegata, infatti, sembrerebbe che ad aver diritto al massimo dello stipendio (7.800 euro lordi) siano tutti i sindaci dei capoluoghi di regione, non solo quelli che amministrano città di oltre 500mila abitanti. Ad alimentare la confusione anche i tentativi di trasparenza di alcuni amministratori. Qualche anno fa Matteo Renzi, da sindaco di Firenze, dichiarò di percepire circa 90mila euro lordi l’anno. Quindi, circa 7.500 euro (lordi) al mese. Negli stessi mesi, Michele Emiliano, allora sindaco di Bari, dichiarò di percepire 5.800 euro netti al mese: 1.500 in più di quanto guadagnava Ignazio Marino, all’epoca primo cittadino della Capitale. Giuliano Pisapia, a sua volta, si abbassò lo stipendio a 3.500 euro netti pur amministrando un Comune come Milano, più popoloso di Firenze e Bari. Un rompicapo, insomma. Che adesso interessa tantissimo anche ai consiglieri regionali.