CIBO E SALUTE

Bresaola, il magro nel piatto

Paolo Zappitelli

Smettetela di mangiarla condita con limone e olio. E di tagliarci sopra le classiche scaglie di parmigiano. O peggio ancora di guarnirla con l’onnipresente foglia di rughetta. Perché la bresaola della Valtellina Igp, come insegnano generazioni di valligiani che lì la lavorano e la mangiano, va mangiata così come è per sentirne tutto il sapore. E magari anche per scoprire il gusto diverso che deriva dalla differenza del taglio di carne scelto e dall’animale. E qui va sfatato un altro tabù, il fatto che per la bresaola non venga usata esclusivamente carne italiana ma soprattutto quella che proviene da allevamenti delle enormi fazende sudamericane. Il motivo lo spiega Claudio Palladi, ad di Rigamonti, l’azienda più importante di tutta la zona che da sola assicura il 34 per cento della produzione dell’intero consorzio di tutela (consorzio creato proprio 20 anni fa dal titolare del marchio, Emilio Rigamonti). «La Valtellina non è storicamente zona di allevamento, quindi la carne va comunque cercata altrove. E per il volume di vendita non bastano assolutamente i capi nazionali. Oggi la percentuale di carne italiana usata è del 3/4 per cento. Inoltre per produrre la bresaola servono tagli e animali particolari. Per questo andiamo a cercare il prodotto più buono in giro per il mondo, specialmente dal Sudamerica - la migliore è quella brasiliana - ma anche in Europa, dalla Francia». Ed è il motivo per cui la bresaola è un Igp e non una Dop: la produzione deve essere fatta esclusivamente in Valtellina dove esiste una tradizione di lavorazione e dove il clima è l’unico adatto a farla «maturare». Cinque i tagli previsti dal disciplinare, Rigamonti ne utilizza tre: la punta d’anca, che è il taglio più nobile e che costituisce il 95% della produzione, il magatello e la sottofesa. La carne, una volta tagliata e preparata, viene messa sotto sale e aromi (aglio, pepe nero, ginepro, cannella, alloro e noce moscata quelli usati da Rigamonti ma ogni produttore, dal più piccolo al più grande, usa lo sue spezie e i suoi segreti), massaggiata e fatta riposare. Poi viene portata in celle a temperatura controllata dove le muffe le fanno perdere circa il 40 per cento del suo peso, asciugandola dai liquidi. E dopo due settimane la bresaola è pronta per essere mangiata. Il prodotto che si ottiene è magrissimo visto che contiene al massimo solo il 6 per cento di grasso, al contrario di altri insaccati che arrivano al 30. Ma imparare a degustarla vuol dire anche imparare a distinguere i diversi tagli. Rigamonti, ad esempio, ha messo in commercio una selezione fatta solo di carne italiana e una con una carne «marezzata» che contiene una percentuale leggermente più ala di grasso che le dà anche una maggiore morbidezza. Infine un piccolo segreto per utilizzarla su un risotto: la fetta di bresaola va messa per un minuto nel forno a microonde per farla seccare e poi sbriciolata nel piatto.