ADRIANO BALDASSARRE DI "TORDOMATTO" A ROMA

"Vi racconto il mio nuovo menu, tra India, Abruzzo e Roma"

Paolo Zappitelli

«Deve essere più cremosa, più liquida. Togli un po’ di curcuma, si sente troppo. E poi ci siamo». Adriano Baldassarre, chef stellato e proprietario con il suo socio di TordoMatto nel quartiere Prati a Roma (via Pietro Giannone 24) è alle prese con gli assaggi dei piatti del suo nuovo menù. Si chiamerà «sapori antichi» e racconterà i cibi della cucina romana seguendo il calendario. Una specie di «approfondimento» culinario per uno chef che ha già al centro del suo mondo la tradizione della capitale ma completamente rivisitata. Non per niente la sua attuale proposta di degustazione in carta si chiama «Tradizione in progressione». «Questa volta - racconta - voglio creare qualcosa che racconti ancora di più la città, voglio far sentire i sapori quotidiani. Il menu cambierà ogni giorno, il giovedì ci saranno gli gnocchi, il venerdì il pesce, il sabato la trippa. Tutto, ovviamente, con la stessa tecnica di sempre». Quella che sta «provando» è una classica cacio e pepe però con la curcuma. È la sua idea di tradizione e innovazione? «Esatto. Qui poi uso il pepe timut, un pepe del Nepal che ha un sentore agrumato fantastico». Quanto è difficile innovare una cucina come quella romana? «No, non è difficile. Occorre semplicemente essere originali e non copiare, devi applicare le tue esperienze personali. Io ad esempio sono molto influenzato dall’India, ho vissuto e lavorato lì due anni. Ma anche più semplicemente dalla cucina abruzzese. Ma su tutto c’è la tradizione romana, sono nato al Quadraro, ho aperto il mio primo Tordomatto a Zagarolo nel 2004. Ce l’ho nel sangue». Tordomatto è il ristorante stellato. Poi ha aperto «Avvolgibile» all’Appio Latino, una trattoria, prezzi popolari. Un cliente potrebbe dire vado lì mangio gli stessi piatti, tanto la mano è la stessa ma spendo di meno... «La differenza c’è (ride). E non è certo la materia prima che deve essere sempre eccellente. Diciamo che in trattoria trovi l’esecuzione, qui la creazione». Spieghiamo meglio... «È la stessa cosa di uno stilista che ha l’atelier ma ha anche il pret à porter. O meglio ancora facciamo l’esempio di una partita allo stadio: puoi andare in curva e la vedi in un certo modo. Poi vai in tribuna e scopri che c’è un altro mondo, ti coccolano, ti danno i gadget, incontri i calciatori. A Tordomatto c’è contemporaneità ed eleganza. Che per forza di cose non trovi all’Avvolgibile. Anche se ovviamente la cucina è sempre la mia. Ad esempio qui nel nuovo menu metterò le penne alla puttanesca. Che però sono cotte in un infuso fatto con il condimento». I cuochi oggi sembrano stregati dalle lunghe cotture a bassa temperatura. Lei le usa? «Ma per carità, né qui né in trattoria. È una tecnica che ha rovinato intere generazioni, i clienti non sanno più masticare e non usano più il coltello. Sa qual è la vera cottura lunga a bassa temperatura? Quella che faceva mia nonna nel forno del paese. Finito di cuocere il pane il forno aveva una temperatura più bassa e venivano messi dentro i piatti che si volevano preparare, come la vitella alla fornara. Il calore andava via via scemando e la carne si ammordiva e poi crogiolava. Ecco lì si creavano sapori unici».