ALEX PIPERO

"Ho una stella Michelin ma sogno un locale per fare solo panini"

Paolo Zappitelli

«Da piccolo mi avevano detto che il cuscino del letto si chiamava guanciale. La prima sera ci ho messo il pepe e gli davo i morsi». In questa frase, pubblicata nel suo libro «Si mangia al tocco», c’è tutta la storia di Alex Pipero, «ristoratore e non chef» come ci tiene e puntualizzare, titolare del ristorante stellato che porta il suo nome in corso Vittorio Emanuele a Roma. Una strada lunga quella che lo ha portato fin lì, passando dall’esperienza con Antonello Colonna a Labico, poi il primo ristorante ad Albano laziale, l’approdo nella capitale con «Pipero al Rex» e infine due anni fa la nuova avventura. Tutto iniziato un po’ per caso. Come Alex racconta ridendo: «In terza media non avevo più voglia di studiare. Ma non c’era una cosa che mi interessava più di altre. O meglio una sola: mangiavo sempre e di tutto. E l’ho trasformata in un lavoro». D’accordo però poi ha fatto l’alberghiero, ha iniziato a lavorare ed è arrivato fino alla stella Michelin. Quanto è difficile mantenerla? «A Roma molto più che in altre città. Qui chi fa alta ristorazione è più penalizzato, c’è tanta burocrazia, tutto è complicato. E poi c’è meno richiesta rispetto ad altre città come Milano ma molta concorrenza. Anche da parte di locali che copiano i menu ma fanno prezzi molto più bassi». E i clienti li preferiscono... «Purtroppo la gente non capisce la differenza che c’è tra un ristorante costoso e uno caro. Nel primo vale la pena di andare, nel secondo no. Nel ristorante stellato spendi 100 euro ma vieni coccolato in tutti i modi. E quando esci non puzzi di fritto. In un altro magari ne spendi 50 ma poi non ti viene voglia di tornare». Scorrendo il suo menu manca un piatto che da lei ha fatto la storia, la carbonara di Pipero. Che è successo? «Ad agosto è arrivato un nuovo chef, Ciro Scamardella, 30 anni, bravissimo. E ho cambiato tutto». È stato difficile dopo tanti anni «in coppia» con Luciano Monosillo? «La vita va avanti, il ristorante funziona come una squadra, cambi allenatore e cambi anche gli schemi». E gli ha dato carta bianca su tutto? «Assolutamente sì. Ha stravolto completamente la carta e ha vinto la scommessa. Perché la Michelin ci ha subito riconfermato la stella. Anche se alla fine sono sempre i clienti che danno i voti veri. E ci hanno premiato». I suoi piatti che ama di più? «I ravioli di genovese di polpo e le bavette in bianco con baccalà e coppiette di maiale. Strepitosi». Oltre il ristorante ha anche una linea di catering. Il prossimo progetto che ha in mente? «Mi piacerebbe aprire un locale particolare, dove fare solo panini». Sembra una fissazione di voi chef. Impazzite per i panini gourmet... «Perché ci piace mangiarli. Nei ristoranti si cena alle sei e mezza, prima del servizio. E quando si finisce, all’una di notte, abbiamo una fame... Se lei viene a quell’ora a piazza Risorgimento ci trova tutti là, me, Heinz Beck... C’è un kebabbaro che fa delle cose strepitose. E si ricordi una cosa, il segreto del panino non è quello che c’è dentro, ma il pane...».