fine di un'era

Boldrini, manca un giorno alla Liberazione

Gian Marco Chiocci

Contiamo i secondi come a Capodanno. Pronti al brindisi, al trenino, a ubriacarci per l’imminente trasloco dalla poltrona più alta a una qualsiasi di Montecitorio, di quella signora lì. E’ questione di poco e sarà la festa della Liberazione dalla partigiana Laura Boldrini, la peggiore e più faziosa presidente di sempre, più di quel povero Cristo andatosi a schiantare tra i Tulliani e Montecarlo. Da domani il Presidente della Camera tornerà a essere una deputata semplice, non guarderà più i colleghi dall’alto in basso, speriamo le tolgano la scorta di poliziotti, categoria che la signora detesta per partito preso. Di Laura non rimpiangeremo nulla. Non ci mancherà l’ossessione per la declinazione al femminile dell’universo maschile, la retorica sull’immigrazione e sulle donne (non italiane) vittime di violenza. Non ci mancheranno le battaglie per le offese (alla sua persona) sul web. E non ci mancheranno il penoso doppiopesismo e le indecenti contraddizioni, tra cui l’ultima ieri, allorché la Signora in rosso se n’è uscita così: «Per le presidenze non ci può essere la spartizione delle poltrone, come nella Prima Repubblica», dimenticando che proprio Lei, eletta senza prendere un voto (c’era il Porcellum) in un partito col 3 per cento di consensi, ottenne lo scranno più alto della Camera in virtù di una spartizione politica da Prima Repubblica. E soprattutto di Laura non ci mancherà il chiodo fisso per l’obelisco da abbattere e il nuovo fascismo da combattere. Senza ipocrisia e con la disistima di sempre, bella... ciao!