Codice rosso in panne: fragilità delle misure cautelari e dipendenza affettiva dietro l’ennesimo femminicidio di Jessica
Accoltellata dall'ex compagno che aveva denunciato pochi mesi prima. Lui, nonostante il braccialetto elettronico, è riuscito a raggiungerla sotto casa e ad ucciderla. Il programma Incidente Probatorio, in onda sul canale 122 Fatti di Nera, ha ricostruito quanto accaduto nell'ennesimo caso di femminicidio. Stavolta è accaduto a Castelnuovo del Garda, in provincia di Verona, nella notte tra il 27 e il 28 ottobre 2025, quando il silenzio di via Silvio Pellico è stato spezzato da un dramma annunciato. Jessica Stapazzolo Custodio de Lima, 33 anni, originaria del Brasile, è stata trovata senza vita nel suo appartamento. A ucciderla con decine di coltellate è stato l'uomo con cui aveva vissuto per anni: Reis Pedroso Douglas, 41enne suo connazionale. Le indagini dei carabinieri non lasciano dubbi: l'uomo, già denunciato più volte per maltrattamenti, si era tolto il braccialetto elettronico, violando il divieto di avvicinarsi alla vittima. Un atto premeditato, lucido, disperato. Jessica aveva provato a liberarsi da quella spirale di violenza, aveva denunciato, chiesto aiuto, ma come spesso accade la paura, la dipendenza affettiva e la solitudine l'avevano riportata accanto al suo aggressore. Ora la comunità è sotto shock: il Comune di Castelnuovo ha organizzato una fiaccolata in suo ricordo e i cittadini chiedono giustizia, ma anche risposte, perché le denunce non sono bastate e il sistema non ha protetto Jessica. Le misure cautelari, i braccialetti, i divieti di avvicinamento sembrano troppo fragili davanti alla furia di chi decide di uccidere. In Italia nel 2025 sono già oltre 70 le donne assassinate da un partner o da un ex. La storia di Jessica non è un caso isolato ed è l'ennesimo femminicidio che si registra sul territorio italiano.
“Attualmente – ha detto l'avvocato Paola Tindara Paladina – il sistema, tra codice rosso e altre misure, sarebbe in teoria molto efficace. Il problema nasce dal punto di vista dell'operatività e sulle problematiche logistiche, come la gestione degli apparati elettronici da parte di gestori privati, anche nella misura in cui il giudice interviene tempestivamente. Jessica ad aprile aveva denunciato un'aggressione e lui era stato subito sottoposto a misura, anche se il braccialetto elettronico era arrivato solo un mese dopo. Lei aveva già subito un mese di scopertura. Bisognerebbe incidere in maniera seria sulla questione informatica, ma è anche una questione di dipendenza affettiva: lei era stata plagiata dall'aggressore, come spesso avviene in queste situazioni, nonostante fossero stati allontanati due bimbi che vivevano in Brasile con l'ex partner, nonostante le violenze, la signora si era disfatta del dispositivo di allarme in suo possesso, lasciato nel garage della madre”.
“Sotto alcuni aspetti – ha sottolineato Stefano Callipo, presidente nazionale dell'Osservatorio violenze e suicidi – purtroppo alcuni film sono già visti e alcune morti si potevano evitare. La vittima viveva una serie di fragilità importanti, mentre dall'altro lato c'era una persona che ha messo in atto con lucidità una strategia comportamentale ben chiara. Queste azioni non sono compatibili con patologie psichiatriche. Lei aveva tolto il sistema di allarme, quindi era già stata manipolata, mentre la lucidità dell'assassino si vede dal fatto che, dopo aver compiuto l'atto, non ha fatto altro. L'obiettivo suo era far morire quella persona. Purtroppo, sono dinamiche prevedibili e campanelli d'allarme ce n'erano. Questi sono i buchi del codice rosso, come l'interrogatorio previsto entro i 3 giorni dalla denuncia, che è complicato da affrontare dopo un trauma forte che spesso fa rendere alla vittima dichiarazioni reputate poco credibili. Quando una persona viene sottoposta al braccialetto elettronico, serve un monitoraggio quotidiano. Invece, con questo sistema, quasi si predispone la condizione che porta alla morte di una persona”.
“È anche vero che se qualcuno commette questo tipo di reato alterato da stupefacenti – ha spiegato la criminologa Linda Pontoni – si può creare una sorta di amnesia, anche se non è questo il caso. Non sappiamo se effettivamente fosse sotto effetto di droghe, ma il problema è tutto il pregresso che ci dice qual era la sua volontà. Quando un uomo dice “io la ucciderò”, lo farà, con o senza braccialetto elettronico. C'era una relazione disfunzionale e malata, c'erano tutti i campanelli d'allarme dell'escalation. Prima della tensione, iniziano i maltrattamenti fisici, economici e psicologici, poi i primi pugni e schiaffi. Successivamente, si vive quella che si definisce la luna di miele, quando la persona cambia e tenta di riappacificarsi, comportandosi bene. A quel punto, scattano i sensi di colpa nella vittima, che pensa di dover cambiare alcuni atteggiamenti, nel dubbio che il problema sia lei, scatenando una colpevolizzazione nella donna. Infine, il delitto”.
“Siamo stanchi di vedere queste storie – ha aggiunto la sociologa Alessandra Sannella – spesso c'è la definizione che la vittima era una ragazza tranquilla, ma semplicemente il femminicida ha come volontà la sola negazione dell'autodeterminazione della donna, della sua libertà. Purtroppo la violenza genera violenza, non bisogna farsi giustizia da soli. Solo con la forza della rete si può andare oltre per fermare la forza della violenza. E bisogna scuotere anche sorelle, amiche, genitori, se una persona a cui vogliamo bene è vittima”.
Secondo l'avvocato Chiara Baiocchi, sulla questione delle misure cautelari “è vero che è stata introdotta una corsia preferenziale con il codice rosso per i reati di genere. Ma se la legge corre forte, tutto attorno resta fermo. C'è carenza di assistenti sociali e di una rete di sostegno, così come la misura del braccialetto elettronico non funziona: non ci sono controlli abituali, poi dall'altra parte spesso c'è una valutazione del rischio senza elementi specifici, invece servirebbe un protocollo specifico. E manca anche la specializzazione dei magistrati, dei servizi sociali, della polizia giudiziaria, che devono essere altamente specializzati sul ciclo della violenza”.