Farmacia dei servizi, innovazione o cavallo di Troia dei fondi? Le richieste di UAP
1. Da un tavolo «ristretto» a un grande allarme pubblico.
L’8 luglio 2025, al Ministero della Salute, si è svolta la riunione che avrebbe dovuto definire il nuovo protocollo per l’ampliamento della “farmacia dei servizi”. Al tavolo, però, sedevano quasi esclusivamente i rappresentanti delle categorie farmaceutiche; assenti le associazioni dei laboratori accreditati, delle professioni sanitarie e – fatto ancor più grave – le organizzazioni dei cittadini. Una composizione non rappresentativa che viola i principi di partecipazione, trasparenza e imparzialità sanciti dalla legge 241/1990 e dall’art. 97 della Costituzione. Il promemoria che UAP ha consegnato al Ministro e alle Regioni chiede di ricostituire un tavolo tecnico aperto, pubblicare convocazioni e verbali, sottoporre ogni decisione alla Conferenza Stato‑Regioni e, soprattutto, imporre l’applicazione integrale delle norme su autorizzazione, accreditamento e contratti (d.lgs 502/1992) sia durante la sperimentazione - che scade il 31 dicembre 2025 - sia dopo la sua eventuale stabilizzazione.
2. Il vero nodo: chi può permettersi la “farmacia dei servizi”?
Telemedicina, diagnostica con standard ISO 15189, fisioterapia e referti specialistici non sono prestazioni da banco: richiedono spazi dedicati, personale sanitario aggiuntivo, piattaforme digitali sicure e un controllo qualità continuo. Quanti esercizi di quartiere hanno la forza finanziaria per sostenerli? La risposta è sotto gli occhi di tutti: pochissimi. Se il modello verrà reso permanente senza paletti stringenti, solo le farmacie più dotate di capitali o acquisite da gruppi supportati da fondi di private equity accederanno ai servizi ad alto valore, mentre quelle indipendenti verranno spinte verso la pura dispensazione di ricette o, peggio, verso la cessione dell’attività. È il preludio alla desertificazione delle piccole farmacie di prossimità.
3. Il disegno politico: rendere le farmacie appetibili alle multinazionali.
Per l’U.A.P. – l’Unione che rappresenta ambulatori, poliambulatori e ospedalità convenzionata – il progetto è ormai trasparente: sostenere economicamente le farmacie, oggi prive delle autorizzazioni regionali e dei 420 requisiti strutturali, professionali e tecnologici richiesti alle strutture sanitarie accreditate, così da renderle appetibili ai conglomerati internazionali. È già successo in Lombardia, nel settore dei laboratori e dei poliambulatori, cannibalizzati dopo tagli tariffari fino al 70 % decisi con il nuovo Nomenclatore. Il copione si ripete: tagli alle prestazioni territoriali, fallimenti a catena nelle regioni in piano di rientro, e - nel silenzio del Ministero della Salute e del TAR - corsie preferenziali per i canali distributivi che si vogliono “ingrassare” in vista di maxi‑acquisizioni. Da mesi le principali associazioni di categoria hanno consegnato al Ministero proposte di tariffari sostenibili; eppure, tutto tace. Dobbiamo chiederci se prevalgano ignoranza, malafede o gli interessi delle lobby. Nel frattempo, voci di corridoio parlano di fondi pubblici destinati alle farmacie per screening privi di referti, non tracciati nel Fascicolo Sanitario Elettronico e senza chiare assunzioni di responsabilità civile e penale: un percorso che rischia di far peggiorare la salute e la sicurezza dei cittadini.
4. Le richieste irrinunciabili di UAP:
tavolo realmente plurale con Regioni, ordini professionali, laboratori accreditati, società scientifiche e associazioni di cittadini; applicazione integrale del d.lgs 502/1992: autorizzazione sanitaria dei locali, accreditamento istituzionale, direttore sanitario, controlli di qualità, tetti di spesa regionali, come ogni struttura sanitaria accreditata; trasparenza dei dati: volumi, tariffe, indicatori di esito e sicurezza pubblicati online almeno semestralmente; limiti alle concentrazioni: ogni operazione di acquisizione oltre le quattro farmacie per comune o le cinquanta per provincia sia sottoposta a valutazione Antitrust e a parere del Ministero; tutela della prossimità: incentivi economici o vincoli programmatori per garantire la sopravvivenza delle piccole farmacie nei quartieri e nei paesi a basso bacino d’utenza.
5. Conclusione: difendere la farmacia di comunità, non il “business della diagnostica” o i rendimenti dei fondi.
Il nostro sistema sanitario ha bisogno di innovazione territoriale, ma non a costo di barattare la capillarità per l’iper‑finanziarizzazione. Senza regole chiare rischiamo di passare in pochi annidal farmacista che ti conosce per nomeal clerk di una pseudo farmacia dei servizi retail quotata in borsa, pronto a venderti il test rapido, la tele‑visita e, perché no, il pacchetto di bellezza. La farmacia deve rimanere un servizio pubblico di prossimità. Per questo l’U.A.P. chiede al Ministro della Salute, alle Regioni e al Parlamento di ascoltare le istanze del promemoria e di blindare la riforma con norme, controlli e trasparenza. Prima che il nostro quartiere perda non solo la farmacia, ma un pezzo essenziale di comunità.